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248 C. F. Lehmann-Haupt, Zum Wertverhältnis von Gold und Silber.

Exemplaren, die erheblich höher stehen, wurde also", wie Regling1) mit Recht betonte, von ihm bei seiner übertriebenen Wertschätzung des Befundes erhaltener Gewichtsstücke gegenüber dem numismatischen Material weggeblasen und nach einem einzigen Gewichtsstück,korrigiert". Auf dasselbe läuft es hinaus, wenn Weissbach auch in dieser neuesten Arbeit aus den beiden Gewichten, die auf eine Mine von 500,0456 bis 500,172 führen, den normalen Betrag der königlich persischen Gewichtsmine, oder wie er sich ausdrückt, des altpersischen Pfundes tatsächlich auf rund 500 g anzusetzen geneigt scheint, während nach dem Gewicht des Dareikos (8,4 g) sich der Betrag der königlich persischen Gewichtsmine dieser Form (C) auf 504 g berechnet. Die beiden Gewichtsstücke weisen nur das bei Gebrauchsgewichten so häufige geringfügige Zurückbleiben hinter der Norm, sei es bei der Ausbringung, sei es durch allmähliche Abnutzung auf.

Das Petersburger Gewichtsstück erbringt also weder einen neuen Beweis für das Wertverhältnis 133:1 in der Achämenidenzeit, einen Beweis, der bisher, auch nach Weissbachs eigener früherer Anschauung, keineswegs mehr „vermisst" wurde, noch auch darf es etwa zu einer Korrektur des der königlich persischen Prägung zugrunde liegenden Gewichtes königlicher Norm der Form C verwendet werden.

Dagegen schliesst Weissbachs an sich richtige Bestimmung des Petersburger Gewichtes eine andere metrologisch-archäologisch wertvolle, von ihm nicht ausgesprochene Erkenntnis in sich; man konnte nämlich bisher zweifeln, ob nicht die Silber- und die Goldmine zunächst nur als fiktive Rechnungsgrössen besonders für den internationalen Verkehr ausgebildet waren, wie beispielsweise die Mark Banco in Hamburg vor Einführung der Reichswährung 2). Die gefundenen babylonisch-assyrischen Gewichtsstücke stellten nämlich, soweit sie bezeichnet waren, so gut wie alle die Gewichtsmine dar. Die Tatsache, dass in den von Babylonien her metrologisch beeinflussten westlicheren Gebieten die Goldmine und besonders die Silbermine als gesonderte Gewichtsstücke wirklich auftraten, machte es zwar wahrscheinlich, dass sie auch im Zweistromlande bereits als wirkliche Gewichtseinheiten zur Verwendung gekommen waren; aber ein sicherer Beweis dafür lag noch nicht vor. Das Petersburger, 4 Silberminen (königlicher Norm C) darstellende Gewichts stück liefert diesen Beweis zunächst für die achämenidische Zeit und ist als Indizium darüber hinaus. für ältere Zeiten bedeutsam. Diese Erkenntnis mittelbar gefördert zu haben, ist Weissbachs Verdienst.

1) ZDMG 63, S. 708 Anm. 1. Vgl. meine Bemerkungen ebenda S. 725 f.

2) Darauf habe ich bereits wiederholt hingewiesen, zuletzt ZDMG 63, S. 715.

Vgl. Regling ebenda S. 706 f.

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Mitteilungen und Nachrichten.

Ancora per i confini nella pace di Antioco.

Di G. Cardinali.

Il Viereck ha nella sua nota pubblicata in questo periodico IX 1909, 371 seg. 1) esercitato una critica assai abile ed acuta contro le ragioni per le quali il Mommsen in Röm. Forsch. II 527 seg. combatte arditamente la correzione, divenuta tradizionale, di Tanaim in Halyn nel passo di Liv. XXXVIII 38, 42), nel quale ci sono tramandati i confini che i Romani imposero ad Antioco III dopo la battaglia di Magnesia. Con formidabili argomenti ha il Viereck dimostrata l'inconsistenza delle difficoltà architettate dal Mommsen contro questa correzione e la insostenibilità della emendazione dal grande maestro proposta di Tanaim in Taurum. Tra l'altro il Viereck ha assai bene messo in luce come il Mommsen sia caduto in errore, quando cerca una conferma di questa sua emendazione nel passo di Liv. XXXVIII 39, 17: de Pamphilia disceptatum inter Eumenem et Antiochi legatos cum esset, quia pars eius citra, pars ultra Taurum est, integra res ad senatum reicitur. Di fatto Livio nel passo ora citato sembra alludere a un fiume Tauro, ma il Viereck riportandosi all' originale Polibiano (ΧΧΙ 48, 11): περὶ δὲ τῆς Παμφυλίας, Εὐμένους μὲν εἶναι φάσκοντος αὐτὴν ἐπὶ τάδε τοῦ Ταύρου, τῶν δὲ παρ ̓ ̓Αντιόχου πρεσβευτῶν ἐπέκεινα, διαπορήσαντες ἀνέθεντο περὶ τούτων εἰς τὴν σύγκλητον, dimostra agevolmente che la traduzione di Livio è errata e che la questione relativa alla Pamfilia sorge per la sua ubicazione rispetto alla catena del Tauro e non già rispetto ad un preteso fiume Tauro. Ora questa argomentazione del Viereck io credo possa essere rincalzata, notando che non solo, secondo i termini autentici della tradizione, questa questione della Pamfilia non nacque per la posizione di essa relativamente a un fiume, ma che nemmeno a priori sarebbe mai potuta nascere per una simile ragione. Se infatti in un trattato viene stabilito come confine tra le zone di influenza delle parti contendenti un fiume, non potrà poi nascere in nessun caso contestazione circa la pertinenza della regione attraverso la quale scorre quel fiume, perchè è troppo chiaro che, ai termini del trattato, quella regione va divisa in due parti tra i contraenti. Veramente il Mommsen sembra faccia derivare la questione della Pamfilia non già dalla sua posizione rispetto a questo preteso fiume Tauro, ma dalla indeterminatezza di questa indicazione, e dalle conseguente facilità di equivoco. á il Mommsen stesso non si mantiene poi coerente con questa sua opinione, perchè dalle modalità e dai risultati della spedizione di Gn. Manlio egli inferisce che questo Taurus amnis niun altro fiume potesse essere che il Kestro. Se tale identificazione con tanta chiarezza risultava dalla spedizione di Manlio, come l'espressione si sarebbe poi potuta prestare a fraintendimenti? E un' ultima osservazione vogliamo fare: pretendere che nel trattato di Apamea si menzionasse un Taurus amnis significa presupporre nei redattori del capitolato una ignoranza della geografia della Pamfilia, che resta da dimostrare, e che, seppure potesse essere ammissibile nella fase in cui vennero in Roma fissati i preliminari della pace, è invece da escludersi assolutamente nel momento in cui erano entrati in campo i commissari romani, inviati appunto coll' incarico di curare i particolari, ed essi erano assistiti da Gn. Manlio, reduce proprio dalla Pamfilia. Queste osservazioni mi sono state suggerite dal desiderio di corroborare anche 1) Die Festsetzung der Grenze im Frieden des Antiochus.

2) Excedito urbibus agris vicis castellis cis Taurum montem usque ad Tanaim amnem et ea (a Paris.) valle Tauri usque ad iuga qua in Lycaoniam vergit.

Klio, Beiträge zur alten Geschichte X 2.

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più solidamente, se è possibile, il raziocinio del Viereck, ma aggiungo subito che esse divengono superflue, come superflua diventa tutta l'argomentazione del Viereck, dinanzi al dato nuovo, che io credo di poter portare alla soluzione della questione.

A dimostrare che i Romani imposero effettivamente lo Halys come confine ad Antioco III, e che quindi è giusta nel testo Liviano la correzione di Tanaim in Halyn, abbiamo una prova positiva irrefragabile, che è veramente strano sia sfuggita a tutti coloro, che si sono sinora occupati dell' argomento.

Si tratta di un passo di autore non davvero clandestino e nemmeno secondario, di un passo cioè di Appiano. Nel resoconto che questo autore dà in Mithr. 62 del discorso che Silla, terminata la prima guerra mitridatica, tenne in Efeso nell' inverno 85/4 ai Greci d'Asia Minore, per rimproverare loro il contegno serbato di fronte a Roma e giustificare le misure di rigore, che egli avera in animo di adottare, è detto, proprio in principio: ἡμεῖς στρατῷ πρῶτον ἐς ̓Ασίαν παρήλθομεν, ̓Αντιόχου τοῦ Σύ ρων βασιλέως πορθοῦντος ὑμᾶς. ἐξελάσαντες δ' αὐτὸν, καὶ τὸν Αλυν καὶ Ταῦρον αὐτῷ θέμενοι τῆς ἀρχῆς ὅρον, οὐ κατέσχομεν ὑμῶν ἡμετέρων ἐξ ἐκείνου γενομένων, ἀλλὰ μεθήκαμεν αὐτονόμους, πλὴν εἴ τινας Εὐμένει καὶ ̔Ροδίοις συμμαχήσασιν ἡμῖν ἔδομεν, οὐχ ὑποτελεῖς ἀλλ ̓ ἐπὶ προστάταις εἶναι.

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Passo più esplicito di questo non si potrebbe desiderare. Non possiamo giurare naturalmente che queste sieno state per filo e per segno le parole pronunciate da Silla in Efeso, ma non è per questo meno certo che dal brano risulta che la fonte di Appiano sapeva che una delle linee principali di confine imposte dai Romani ad Antioco dopo la sua sconfitta era stata precisamente il fiume Halys. Ed allora la correzione di Tanaim in Halyn nel testo Liviano diventa la cosa più certa del mondo. Se contro l'efficacia probatoria di quell' unico passo di Strabone, che finora fu addotto in favore di questa correzione 1), era possibile pretendere che quell'autore parlasse dello Halys come di limite cui era giunta la conquista Romana con la guerra contro i Galati, e non già come di limite imposto ad Antioco, nessun arzigogolo di questo genere potrebbe essere escogitato contro il passo di Appiano, ed esso costituisce perciò una formidabile smentita all' affermazione troppo sicura del Mommsen (Röm. Forsch. p. 528): „Aber dass Antiochos Vorderasien bis zum Taurus und zum Halys abtritt, wird weder von Strabo noch sonst irgendwo gesagt. . . . . und konnte auch nicht gesagt werden". Ed io credo che, se, per buona ventura della scienza, il Mommsen fosse ancora tra i vivi, mentre forse avrebbe sdegnato i semplici argomenti di logica formale in antitesi con la sua idea, non esiterebbe certo a riconoscere il valore del passo, sul quale io ho richiamato l'attenzione. Il qual valore è tanto maggiore in quanto che, sebbene la fonte di Appiano per il periodo che va dal 140 al 30 a. C. (e cioè appunto del libro mitridatico, dell'ultima parte dell' iberico e del numidico, e dei libri delle guerre civili) resti sempre disgraziatamente anonima, ciò non per tanto essa si afferma con caratteri di grande pregio per l'eccellenza degli archetipi cui risale, Posidonio, Sallustio, Asinio Pollione, Livio. È vero che di questi archetipi la fonte di Appiano talora abusò modificandoli arbitrariamente, e qualche volta anche falsificandoli tendenziosamente, ma riesce evidente di per sè che il passo che ci riguarda non potrebbe rientrare davvero nel novero delle falsificazioni, poichè la sua stoffa non è tale da porgere ansa a falso, e sarebbe arbitrario inserirlo in quello degli errori. Riesumato, per così dire, il passo di Appiano e rivendicatone tutto il valore, resta fuori di dubbio doversi anche nel passo di Strabone VI 287 intendere lo Halys come confine già imposto ad Antioco, se poi in realtà ruggiunto prima o dopo la spedizione di Gn. Manlio contro i Galati, questo non importa.

1) VI 287: συνενεωτέρισαν δὲ τοῖς Καρχηδονίοις οἵ τ ̓ Ελληνες καὶ Μακεδόνες καὶ τῆς ̓Ασίας οἱ ἐντὸς "Αλυος καὶ τοῦ Ταύρου· καὶ τούτους οὖν ἅμα συγκατακτᾶσθαι προήχ θησαν, ὧν ̓Αντίοχός τε ἦν ὁ βασιλεὺς καὶ Φίλιππος καὶ Περσεύς.

Assicurata in modo incontrovertibile la lettura Halyn in luogo di Tanaim nel passo di Livio XXXVIII 38, 4 restano sempre indiscutibilmente delle difficoltà circa il percorso che dovea seguire la linea di confine imposta dai Romani all' influenza di Antioco. Il testo Liviano dopo le parole: Excedito urbibus ...... cis Taurum montem usque ad Tanaim amnem soggiunge: et ea (a Paris.) valle Tauri usque ad iuga qua in Lycaoniam vergit. E qui il Viereck propone l'emendazione: et ab ea valle usque ad iuga Tauri etc., e spiega: dass mit diesen letzten Worten eine Linie bezeichnet werden soll, die von dem Punkt, wo der Halys sich nach Norden wendet, südlich etwa nach der Grenze von Kilikien und Pisidien verläuft, so dass also nach Meinung der Römer auch Lykaonien eingeschlossen war. Con ciò, se bene io ho inteso il pensiero dello scrittore, si è costretti non solo alla interpolazione dello ab, ma anche a conferire alla espressione Liviana una andatura elittica e una struttura sintattica abbastanza dura. Infatti il senso voluto dal Viereck presuppone, mi pare, che il passo Liviano corrisponda al seguente: ..... usque ad Halyn amnem et (ad lineam quae se extendit) ab ea valle usque ad iuga Tauri, qua in Lycaoniam vergit, e qui la elissi è nelle parole che abbiamo chiuso tra parentesi, la stortura sintattica nel fatto che lo usque dello usque ad iuga va messo in relazione con le parole sottintese ad lineam quae se extendit, e non come il primo usque col verbo excedito.

A me pare che si potrebbero evitare questi inconvenienti, omettendo la inserzione dello ab e intendendo ea valle come equivalente ad un per eam vallem. Il senso sarebbe questo: Antioco della porzione di Asia Minore che si trova a Nord della catena del Tauro dovrà abbandonare la parte che arriva sino allo Halys e, correndo attraverso la valle di questo, sino ai gioghi pei quali il Tauro volge verso la Licaonia. E con quest'ultima espressione, che è certamente assai indeterminata, secondo me sarebbero da intendere quelle montagne, che, partendo dalle frontiere della Cilicia e della Licaonia si spingono verso il Nord attraverso la Tyanitis e fan parte dell' Antitauro, e di quelle altre che sorgono nella Garsauritis e a sud della curva dello Halys, e, pur non appartenendo specificatamente all' Antitauro, possono allo ingrosso essergli annesse. Che queste montagne fossero chiamate iuga Tauri non può far nessuna meraviglia, visto che Strabone (XII 534) include le regioni da esse dominate tra quelle divisioni della Cappadocia che egli chiama di no̟ò̟ẹ to Tavoợ. E nemmeno può sorprendere che esse sieno più particolarmente designate come iuga Tauri qua in Lycaoniam rergit perchè il confine tra la Licaonia e la Cappadocia correva appunto tra queste regioni (Strab. XII 558 cfr. XIV 663). Genova.

Der Nabatäerkönig Erotimus.

In die Königsreihe der nabatäischen Araber, die uns mit den rein semitischen Namen Aretas (Haritat), Obodas, Malchos (Malkû) und Rabel1) bekannt ist 2), führt Justin den Namen Erotimus ein (epit. 39, 5, 6). Es lag nahe, ihn für eine Gräcisierung des Namens Haritat zu halten 3). Die historische Stellung dieses Aretas-Erotimus wurde aber verkannt.

1) Vielleicht noch Abias, Schürer Geschichte des jüd. Volkes im Zeitalter Jesu Christi Bd. I, 1901 S. 739. 2) Vollständigste Sammlung der Angaben bei Schürer a. a. O. S. 726—744. Nach Schürer kam hinzu René Dussaud, Numismatique des rois de Nabathène im Journal Asiatique 10. sér., t. 3, 1904 S. 189-238.

3) So de Sauley im Annuaire de la soc. franç. de numism. et d'arch. t. 4, 1873 S. 6, Winkler Altorient. Forschungen 2. Reihe, Bd. 3, 1901 S. 554 f., Dussaud a. a. O. S. 192 und vorher Mission dans les régions désert. de la Syrie moyenne S. 70. Nöldecke (bei Euting, Nabat. Inschr. aus Arabien, Berlin 1885 S. 83) dachte dagegen an den Ersatz eines mit taim = abd, Knecht, gebildeten Namens. Dagegen Winkler

Die Angabe der Epitome hat eine nicht ganz gleichartige Parallele im Prolog; beide Stellen müssen im Zusammenhang betrachtet werden:

Epit.

...

Prol.

revocato Ptolomeo regnum redditur (a. Ut.... occisa per Alexandrum matre re88).....

cepit Aegypti regnum (sc. Ptol. Lathyrus). Ut post Lathyrum filius Alexandri regnarit expulsoque eo suffectus sit Ptolomaeus Nothus (a. 80.)

.....

Dum haec aguntur frater eius ex paelice susceptus, cui pater Cyrenarum regnum testamento reliquerat, herede populo Romano instituto decedit (a. 96). Itaque et ea pars Libyae provincia facta est (erst 74); postea Creta (67) Ciliciaque (64) piratico bello perdomitae in formam provinciae rediguntur. Quo pacto et Syriae et Aegypti regna Romana vicinitate courtata, quae incrementa de finitimis quaerere solebant, adempto vagandi arbitrio vires suas in perniciem mutuam converterunt, adeo ut adsiduis proeliis consumpti in contemptum finitimorum vene- | Prol.

rint praedaque Arabum genti, inbelli antea, Ut Syriam Iudaei et Arabes terrestribus fuerint; quorum rex Herotimus fiducia sep- latrociniis infestarint, mari Cilices piratitingentorum filiorum, quos ex paelicibus cum bellum moverint, quod in Cilicia Rosusceperat, divisis exercitibus nunc Aegyptum mani per M. Antonium gesserunt. nunc Syriam infestabat magnumque nomen Arabum viribus finitimorum exsanguibus fecerat. Der Prolog nennt also Erotimus nicht; seine Angabe über die Streifzüge der Araber ist aber dem Zusammenhange wie der Sache nach der Angabe der Epitome über Erotimus parallel, und da der Prolog auf die Züge der Araber den Seekrieg gegen die Cilicier (a. 102) folgen lässt, wird allgemein angenommen, dass Erotimus um diese Zeit, vor 100 v. Chr., geherrscht habe 1). Da weiter aus der voraufgehenden Zeit nur ein tuoavvos Aretas bekannt ist 2), Justins Fabelei von den 700 Söhnen des Erotimus aber wie eine Stammvätersage klingt, wollte man in ihm den mit einem bekannten Herrscher nicht identifizierbaren Begründer des nabatäischen Königtums erkennen 3).

Aber das ist eitel Phantasie. Das wenig sorgfältige Summarium des Prologs, das an unserer Stelle, wie ein Vergleich mit der Epitome zeigt, den inneren Zusammenhang der Erzählung des Trogus gar nicht mehr erkennen lässt, wurde zu einer falschen chronologischen Schlussfolgerung benutzt. Die ausführlichere Epitome zeigt ganz deutlich, dass Trogus in chronologischer Abfolge erzählte, die auch durch die Notiz über den Tod Apions von Cyrene nur scheinbar unterbrochen wird; denn diese ist hier offenbar nur in den Bericht über die Einziehung Cyrenes eingelegt. Auf dieselbe Weise kam aber im Prolog der Seekrieg des M. Antonius in Zusammenhang mit dem Vordringen der Araber: die parallele Erwähnung der Einziehung Ciliciens in der Epitome zeigt, dass Trogus an dieser Stelle von Cilicien nicht wegen des Seekriegs des M. Antonius (102), sondern wegen der Umwandlung Ciliciens in eine römische Provinz (64) sprach. Wie er die Festsetzung der cyrenäischen Erbschaft erst bei ihrer Einziehung nachholte, so hier die gesamten 102 beginnenden Kämpfe gegen die Cilicier bei ihrem Abschluss.

a. a. O., der aber mit Unrecht das Vorkommen von Doppelnamen bei den Nabatäern negiert. Ein Beispiel ist Αἰνείας ὁ μετονομασθεὶς αὖθις ̓Αρέτας (Jos. Arch. 16 § 294). Josephus hat hier und 1 § 240 Kλɛódŋuos ó xai Máλyos das Verhältnis des ursprünglichen Namens zu dem Ersatznamen wohl umgedreht.

1) v. Gutschmid bei Euting, Nabat. Inschr. aus Arabien, Berlin 1885, S. 83, Schürer S. 731, Willrich bei Pauly-Wissowa v. Erotimos, Winkler S. 555, Bevan, The house of Seleucus, London 1902, 2 S. 257, Dussaud im Journ. Asiat. S. 192.

2) II Makkab. 5, 8 zum J. 169 v. Chr.

3) Schürer a. a. O.

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