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Di alcuni frammenti di Cassio Dione.

Di Vittorio Macchioro.

Per giustificare il metodo tenuto nel fare le seguenti osservazioni intorno ad alcuni frammenti di Cassio Dione, bastano alcune considerazioni. Dalle mie osservazioni parrà al lettore che troppo facilmente muovo appunti ad illustri critici, che troppo agevolmente colloco a posto frammenti a volte inorganici, e che infine presuppongo talora relazioni troppo strette fra Dione e le sue fonti: si tratta ora appunto di vedere quali fossero queste vere relazioni, e quali conseguenze se ne può trarre per lo studio di questo autore.

La dipendenza di esso dalle fonti è maggiore di quanto generalmente non si suppone dai critici. Non parlo dei numerosi modi di dire, delle eleganze stilistiche che Dione dedusse da molti scrittori anche non storiografi1), ma dei molti casi in cui egli segue alla parola la fonte non come modello letterario, ma come documento storico. Do' un solo esempio per chiarire la distinzione:

Dione in Cedrenus I p. 295, 10: καὶ διὰ τοῦτο διπρόσωπον (sc. Ιανὸν) ὑπὸ Ῥωμαίων πλάττεσθαι — Plut. Num. 19 in fine: καὶ διὰ τοῦτο πλάττουσιν αὐτὸν (Giano) ἀμφιπρόσωπον 2).

Qui è chiaro che l'imitazione non fu di indole letteraria o linguistica come in moltissime deduzioni da Demostene, Eschine, Platone,

1) Cfr. per es. Dione fr. 1, 2 e Plat. Apol. 17 B [Herrmann]; Dione XXXVI 17,3 e Plat. Rep. 14 (468 a); Dione XLI 62,5 e Senof. Cyrop. VII 54 (Dindorf); Dione XXXVIII 40, 2 e Plat. Theaet. 10 (154 D) ecc. V. Naber Els Kostov Aiwva μépos roót. Zwoll 1867 p. 8, Dindorf Dio Cassius und Phrynicus, Neue Jahrb. für Phil. 1869 p. 3 s. Per le imitazioni da Tacito v. Bergmans Die Quellen der Vita Tiberii des C. D 1903 (Heidelberg.-Dissert.) p. 3, 6.

2) Cfr. ancora Dione fr. 24, 2 Plut. Cam. 10; Dione fr. 26, 1 Plut. Cam. 36; Dione fr. 246 Plut. Cam. 12. In queste citazioni e in tutto il corso del lavoro uso le seguenti edizioni: per Dione ed. Boissevain (Berlino 1895-1901) e qualche volta ed. Dindorf (Lipsia 1865); per Plutarco, ed. Sintenis (Lipsia 1852); per Livio, ed. Madvig-Ussing (Hauniae 1861); per Zonara ed. Pinder (Bonn. 1844 nel Corp. script. hist. byz.) per Dionisio ed. Jacobi, Lipsia Teubner 1885 s.; per Cedreno, ed. Bekker (Bonn 1838; nel Corpus su citato). Per Zonara, i cui capitoli sono assai

lunghi, cito anche la pagina e la riga dell' ed. di Bonn. Klio, Beiträge zur alten Geschichte X 3.

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ma di indole storica; se poi si ammette come vuole un dotto critico 1) che Plutarco non fosse una fonte diretta di Dione, la dipendenza, rispetto alla fonte comune, non muterà. Una dipendenza non meno stretta mostra Dione da Livio. Si veggano, per esempio, i seguenti passi;

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Zon. VII 6 (II p. 23, 15 s.): ἦσαν δὲ παρ ̓ ἀμφοῖν τρίδυμοι ἀδελφοί, ἐκ μητέρων γεγόνοτες διδύμων, ἰσή λικές τε καὶ ἰσοπαλεῖς τὴν ἰσχύν.

Zon. VII 6 (II p. 23, 7 s.): ἁρπαγῆς γοῦν γενομένης παρὰ ̔Ρωμαίων ἐξ Ἀλβανῶν ὥρμησαν πρὸς μάχην ἑκάτεροι· πρὸ δὲ τοῦ συμβαλεῖν κατηλλάγησαν.

Zon. VII 8 (II p. 26, 11 ss.): λέγεται δὲ μετοικιζομένου ἀετὸς καταπτὰς ἁρπάσαι τὸν πῖλον δν εἶχεν ἐπὶ τῆς κεφαλῆς καὶ μετεωρισθεὶς καὶ κλάγξας ἐπὶ πολὺ αὖθις αὐτὸν ἐφαρ μόσαι τῇ αὐτοῦ κεφαλῇ.

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Questa dipendenza letterale dalla fonte spicca anche meglio nei luoghi in cui Dione segue Dionisio contro Livio, e tuttavia toglie da Livio, indiscutibilmente, alcune parole.

Si confrontino per esempio. Zon. VII 18 (Il 68, 4 s.) Dionis. XII 28 Liv. III 44. Secondo lo storico latino, quando la figlia di Virginio si presenta nel foro, M. Claudio, incaricato da A. Claudio, le mette le mani addosso e la dichiara sua serva ordinandole di seguirlo. La fanciulla resta timorosa e stupita, e la nutrice colle grida attira gente. Il popolo parteggia per la figlia di Virginio e allora M. Claudio invoca il giudizio del tribunale e narra che la fanciulla, natagli in casa, gli era stata rapita da Verginio. Secondo Dionisio invece, M. Claudio insieme a molti complici rapisce Vir1) Haupt Beitr. zu d. Fragm. des Dio Cass. Hermes 14 p. 443.

ginia dalla scuola e la trascina apertamente verso il foro. Appio Claudio che sta giudicando, cedendo alla volontà popolare, rimette il giudizio a quando vi possano assistere i parenti di lei. Nel dì del giudizio, M. Claudio attesta che Virginia è sua schiava. - Zonara. dei due, segue Dionisio perchè dice che i rapitori furono parecchi: παρεσκεύασέ τινας δουλαγωγῆσαι αὐτὴν, ma proprio in questa frase si sente l'influsso di Livio la cui versione è tuttavia diversa (Liv. III 44, 5: clienti negotium dedit, ut virginem in servitutem assereret). Questo influsso di Livio come testo, ma non come fonte è tanto evidente che il Wolff usò delle parole di Livio per tradurre Zonara.

Analogamente si confronti Dionis. III 8, 2-12, 1 con Liv. I 23 e Zonara VII 6 (II 23, 3 s.). Secondo il primo, Mettio Fufezio propone che le due città si riconcilino giustificandosi delle reciproche accuse e invita altri a esporre opinioni in questo scuso. Tullo accetta la discussione e propone che gli Albani si assoggettino ai Romani formando un solo stato comune (questa è un' astuzia di Tullo per venir a trattative. Cfr. 12, 1). Dopo lunga discussione, nessuno dei due volendo rinunciare all' egemonia, decidono di combattere. Tullo vorrebbe che il combattimento avvenisse tra due soli guerrieri e si offre lui stesso. Mettio Fufezio è d'accordo di limitar la battaglia ma vuole che tre sieno i combattenti. Secondo Livio, Mettio Fufezio propone che si limiti lo spargimento di sangue, e dopo discussione sul modo di far ciò, si ricorre alla pugna dei trigemini. — Zonara ripete Dionisio: i nemici si riconciliano e decidono di fondar una città, ma non si accordano, e non volendo combattere con tutto l'esercito, nè volendo un duello dei duci, eleggono i trigemini. Eppure in Zonara troviamo imitazioni di frasi da Livio; per esempio:

Liv. I 24, 1: Forte in duobus etc. s. o. S. 342.

Liv. I 22, 3: forte evenit etc. s. o. S. 342.

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Zon. VII 6 (II p. 23, 15 s.): hoav δὲ παρ ̓ ἀμφοῖν κτλ.

Zon. VII 6 (II 23, 7 s.): ȧo̟лауis γοῦν γενομένης κτλ.

Un terzo esempio: Dionis. IV 55, 57- Liv. I 53-4 Zon. VII 10 (II 35, 22 s.). Secondo Dionisio la finzione di Sesto, ribelle e transfuga del padre, arrivò al punto che Tarquinio battè in publico il figliuolo. Sesto fugge a Gabii, si ingrazionisce gli abitanti e diventa uno dei primati. Manda poi, quando la cosa è a buon punto, un fidato a Tarquinio, il quale col noto indovinello dei papaveri gli ordina di disfarsi dei principali cittadini. Per far ciò Sesto si lagna publicamente che vi sia chi voglia consegnarlo al padre e ne accusa Antistio Petrone; se ne cerca la casa e si trovano false lettere di lui dirette a Tarquinio. Egli è ucciso, e si autorizza Sesto a cercare e punire i suoi nemici, ed egli se ne giova per uccidere molti cospicui uomini di Gabii. — Zonara segue a puntino Dionisio perfino nel narrare (cosa notevole in un epitomatore) che Tarquinio battè in publico il figlio. Nulla di ciò si trova in Livio che mette invece in bocca

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a Sesto una concione per commovere quelli di Gabii; ma anche qui in Zonara ci sono delle reminiscenze verbali di Livio, come per cagion d'esempio:

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Sarebbe inutile moltiplicare esempi per dimostrar una cosa chiarissima che Dione molte volte, anche indipendentemente dal contenuto storico, è in diretta dipendenza verbale dalle sue fonti, e che quindi per ricostruire o riordinare frammenti Dionei, possiamo usare delle fonti in un senso tutto particolare, fondandoci su questa speciale e strettissima relazione. Con questo presupposto ho esaminato alcuni tra i più importanti frammenti di Dione, la cui collocazione non era ancora accertata, ed ecco i risultati a cui sono giunto.

Lib. I fr. 1, 1.

Cod. Peir. 569: σπουδὴν ἔχω συγγράψαι πάνθ' ὅσα τοῖς Ρωμαίοις καὶ εἰρηνοῦσι καὶ πολεμοῦσι ἀξίως μνήμης ἐπράχθη, ὥστε μηδὲν τῶν ἀναγκαίων μήτε ἐκείνων τινά μήτε τῶν ἄλλων ποθῆσαι.

Il Boissevain colloca questo frammento fra quelli che si riferiscono a Numa, e, pur riconoscendo che si adatterebbe al proemio, non ha voluto spostarlo dal suo luogo tradizionale, per rispetto all' autorità del codice, e lo lascia dopo il fr. 6, 2. Il rispetto al codice è in questo caso fuori di luogo, non solo perchè in sè e per sè non costituisce un argomento, ma perchè la situazione del frammento, dopo il 6, 2, non accenna affatto a una antica originale continuità dei due frammenti. Ce ne danno una prova le parole solite o dè Aíov gnoív öti che precedono il frammento: e invero, se i due frammenti fossero stati originalmente uniti perchè l'autore del codice li avrebbe staccati inserendo tra l'uno e l'altro quelle parole? - Anzi queste dimostrano che egli estrasse i due frammenti separatamente dal testo facendoli precedere dalla solita formula. Ma nemmeno una continuità meno immediata appare verosimile se si tien conto del contenuto dei due frammenti. Il 6, 2 espone alcune innovazioni peculiari di Numa1) se dunque colle parole del fr. 1, 1 (zai yàg oлovôǹv ¿μw x12.) Dione avesse voluto giustificare la esposizione di queste abitudini, il frammento

1) Ὅτι ὁ Νουμᾶς ᾤκει ἐν κολωνῷ τῷ Κοριναλίῳ ἀνομασμένῳ ἄτε καὶ Σαβίνος ὢν τὰ δὲ δὴ ἀρχεῖα ἐν τῇ ἱερᾷ ὁδῷ εἶχε, καὶ τάς τε διατριβὰς πλησίον τοῦ Ἐστιαίου ἐποιεῖτο καὶ ἔστιν ὅτε καὶ κατὰ χώραν ἔμενεν.

andrebbe se mai collocato dopo il 6, 2 e non prima (si noti il xai γάρ). E si aggiunga che le parole πανθ' ὅσα τοῖς Ρωμαίοις ἐπράχθη hanno un contenuto ben più vasto che non sieno le innovazioni, e magari tutto il regno di Numa.

Invece queste difficoltà cadono se si ritorna all' antica collocazione che considerava il fr. 1, 1 come una parte dell' esordio: allora le parole πάνθ' ὅσα-ἐπράχθη appaiono pienamente giustificate. Ne mancano analogie tra le parole di questo frammento e altri spunti offerti da esordi di altri autori. L'intonazione generale somiglia a quella dell' esordio di Tucidide: il verbo ovyyoάpew (cfr. fr. 1, 2) è usato anche da Tucidide. L'uno e l'altro autore esprimono l'idea della cura avuta nello scriver la storia: Dione la dice esplicitamente (σлоvôηv xo), Tucidide la sottintende quando narra che appena scoppiata la guerra peloponnesiaca egli si accinse a narrarne i fatti. Γαξίως μνήμης dioneo corrisponde al tucidideo ağıλoyótatov. Sono analogie tenui ma che acquistano grande valore se raffrontate alle infinite ricorrenti tra Dione e Tucidide'). Tucidide). Altre analogie con altri esordi si possono istituire. Il concetto σлovôǹv ëxw si trova anche nel liviano: iuvabit tamen rerum gestarum memoriae et ipsum consuluisse: il πάνθ' ὅσα ἐπράχθη trova il suo riscontro nel liviano: facturusne operae pretium sim si a primordio urbis res populi Romani perscripserim. Passando a Dionisio troviamo un riscontro alle parole καὶ εἰρηνοῦσι καὶ πολεμοῦσι in quelle di Dionisio (I 2, 1): πράξεις ἀπεδείξατο λαμπροτάτας ἐν εἰρήνῃ τε καὶ κατὰ πολέμους: anzi il proposito espresso da Dione di nulla tralasciar di quanto fecero di memorando i Romani si ritrova già in Dionisio (I. 5, 2): лɛgì dè vāv πράξεων . . . . ἀφηγήσομαι παραλιπῶν οὐδὲν ὅση μοι δύναμις τῶν ἀξίων ἱστορίας. Νe occorre rilevare che Γαξίων μνήμης del frammento equivale all' džiov iorogias di Dionisio. Un riscontro è dato anche da Diodoro (I 4: πάσας τὰς ἡγεμονίας ταύτης (dei Romani) πράξεις ἀκριβῶς ἀνελάβομεν) al Dioneo: πανθ' ὅσα – ἐπράχθη.

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Tutte queste analogie danno ai frammenti un colorito proprio di un esordio, non copiato nè desunto da nessun altro autore, ma ispirato ai concetti, e un pochino nelle parole, ai più noti esordi degli scrittori che Dione naturalmente aveva studiato. Noi lo riterremo dunque come appartenente all' esordio collocandolo dopo il fr. 1, 2. Il senso riesce perfetto: basta leggere i due frammenti l'uno dopo l'altro, di seguito:

(fr. 1, 2) . . . πάντα ὡς εἰπεῖν τὰ περὶ αὐτῶν τισι γεγραμμένα, συν έγραψα δὲ οὐ πάντα ἀλλ' ὅσα ἐξέκρινα, μὴ μέντοι, μηδ' ὅτι κεκαλλιεπημένοις, ἐς ὅσον γε καὶ τὰ πράγματα ἐπέτρεψε, λόγοις κέχρημαι, ἐς τὴν

1) V. per esse Melber Die Schlacht der Veneter

Comment. Woelflinianae p. 291

1. 297. Poppo nell' ed. 1821 parte I vol. I proleg. 364. Litsch De Cass. Dione imit. Thucididis Freiburg in B. 1893. Columba Cassio Dione e le guerre gall. di Cesare. Atti acc. arch. Napoli 1905 (XXIII) p. 23 nota 5 e p. 24.

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