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(Jahrb. des Instituts XII, 1897, p. 64 segg.), alla prima metà del sec. IV. Forse la data è troppo alta (cf. PETERSEN, ibid. XIV, 1899, p. 46). Ma se anche accordiamo al GHIRARDINI (presso PAIS, St. Romana I 1, p. 342) che appartengano a quel periodo dell'arte etrusca che manifesta l'efficacia alessandrina", non possiamo scendere in ogni modo che poco al di sotto della conquista romana dell' Etruria. Vi son rappresentati cinque gruppi di due persone, sormontati dai nomi, non sempre però interamente leggibili. Prima di tutto vi è un Caile Vipinas liberato da Macstrna, che gli strappa i legami delle mani. Poi abbiamo tre guerrieri che ne mettono a morte tre altri, disposti due a due. I vincitori, eccettuato un solo, sono nudi e con barba come i due della pittura precedente; i vinti son vestiti di tunica e senza barba: con che par vengano nettamente caratterizzati due partiti. Tra i nomi ha per noi importanza quello di Avle Vipinas, che designa uno dei vincitori. Da ultimo c'è un gruppo in cui un guerriero chiamato Marce Camitlnas sta per uccidere un Cneve Tarchu Rumach. Il primo è nudo e barbato come tutti gli assalitori, il secondo è tunicato, però a differenza degli altri assaliti porta la barba. La posa degli assaliti è identica in queste pitture. Son tutti giacenti o semigiacenti: parrebbero tutti sorpresi, forse nel sonno, dagli assalitori.

Fin qui nella analisi delle pitture non può esservi alcun disaccordo. Ma il disaccordo v'è sulla questione se le pitture sono strettamente connesse, se fanno o no parte d'una sola grande composizione. Giustamente il KORTE ha richiamato l'attenzione sulla distribuzione delle pitture stesse nelle pareti dell' ipogeo. Esse son disposte sopra tre tratti di muro, due più piccoli paralleli tra loro, ed uno più grande, perpendicolare ad essi, che li congiunge. Ma si badi: il primo angolo del muro non segna punto una interruzione nella composizione. Caile Vipinas è rappresentato nel muro breve; Macstrna, che lo libera, è nel muro perpendicolare. Ed anche l'impressione generale della pittura è favorevole alla unità di composizione in specie pel gruppo di Marce Camitlnas e di Cneve Tarchu che si trova intero sul secondo muro breve. Marce Camitlnas è infatti nudo e barbato come gli assalitori dei gruppi precedenti. Cneve Tarchu ha la stessa posa degli assaliti degli altri gruppi.

Le iscrizioni danno la conferma decisiva della unità di composizione. Nel primo gruppo infatti abbiamo trovato i nomi di Caile Vipinas e di Macstrna, successivamente quello di Arle Vipinas. Ora è fuor di dubbio che i due Vipinas erano secondo la tradizione fratelli e compagni di avventure. Sarà bene ricordare qui il passo di Festo (p. 355 MULLER) dove si parla dei fratres Caeles et Vibenna, nel quale il GARRUCCI ha supplito giustamente A. dopo et ed il passo di Arnobio (Adv. Nat. VI 7), in cui secondo vari scrittori tra cui Fabio (Pittore) ricordava come Aulo a germani servuli (corr. servulo o servulis) vita fuerit spoliatus et lumine; nè vanno trascurate le rappresentanze etrusche (su cui v. oltre) nelle quali

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i due Vibenna son figurati nell'atto di assalire Caco. Ciò posto, in una pittura in cui apparentemente è rappresentato un assalto dato da Aulo Vibenna e da'suoi compagni di ventura, vien fatto di cercare al suo fianco il fratello e compagno: e ciò fa ritenere che il primo gruppo in cui comparisce Caele non possa separarsi dai tre seguenti in cui comparisce Aulo. Ora la tradizione, o per lo meno una tradizione, mette in rapporto Caele Vibenna con Tarquinio Prisco. Lo fa ritenere la menzione di Tarquinio nel passo citato di Festo, per quanto, essendo monco il passo, non si possa capir bene quale sia la natura di questa connessione. E pure Tacito (Ann. IV 65) dice di Caele: sedem eam (il Celio) acceperat a Tarquinio Prisco, seu quis alius regum dedit: nam scriptores in eo dissentiunt. E finalmente Claudio nel frammento della nota orazione al senato (CIL. XIII 1668), se non accenna a rapporti tra Tarquinio e Caele, li riguarda almeno come contemporanei. Del resto Claudio indica esplicitamente che Mastarna ha occupato il Celio a tempo di Tarquinio Prisco. Ed anche il luogo citato di Festo sembre accennare a qualche relazione tra Tarquinio e Mastarna. Sarà bene riportarlo coi supplementi di O. MÜLLER: Tuscum vicum ..... dictum aiunt ab [is qui Porsena rege] descedente ab obsidione e Tuscis remanserint] Romae, locoque his dato [habitaverint, aut quod Volci lentes fratres Caeles et Vibenn[a, quos dicunt regem] Tarquinium Romam secum max[ime adduxisse, eum colue]rint. Non c'è dubbio che gli ultimi supplementi del Müller son poco soddisfacenti e che va letto più verisimilmente con GARRUCCI, Caeles et [A.] Vibenn[ae, quos dicunt ad regem] Tarquinium Romam se cum Max[tarna contulisse, eum incoluerint o con GARDTHAUSEN (Mastarna p. 40) Vibenn[ae, qui patria expulsi ad regem] Tarquinium Romam se cum Max[tarna contulerunt, eum coluerint. Ora se insieme ad un gruppo di pitture in cui son rappresentati Mastarna e i due Vibenna c'è una pittura che per vari argomenti è probabilmente connessa con le altre, in cui è rappresentato un Cneve Tarchu Rumach, dobbiamo senza esitare intendere Cn. Tarquinius Romanus, e trovare nel comparirvi di un Tarquinio una nuova prova della unità di composizione.

A queste considerazioni, che mi paiono evidenti, si è opposto con sottile dialettica F. MENZER (Rh. Museum 1898, p. 614 segg.). Egli adduce, contro l'unità di composizione, che nel combattimento tra Camitlnas e Tarchu non è propriamente rappresentata una uccisione (kein eigentlicher Mord), mentre nei gruppi precedenti si vede anche il sangue dei caduti. Con che il MÜNZER può voler dire soltanto che nell' ultimo gruppo l'azione non è così progredita come nei precedenti; ma quale argomento questo formi per separare il gruppo dagli altri, non vedo. Nè maggior peso ha l'osservazione che qui il guerriero soggiacente, a differenza dei compagni di sventura, è barbato. Piccole anomalie di questo genere sono insignificanti. È difficile p. e. negare che i sei combattenti del muro maggiore sieno in stretto rapporto tra loro; eppure anche qui

uno degli assalitori è tunicato e gli altri no. Molto meno poi si deve fare assegnamento sul fatto che i due rappresentati nell' ultima scena hanno prenomi romani. In primo luogo Marco è prenome tanto romano quanto etrusco (MÜLLER-DEECKE, Die Etrusker, II 467). Poi prenome romano voglio dire prenome usato anche in Roma ha pure Avle Vipinas.

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Ed egualmente deboli mi sembrano le osservazioni del MÜNZER in ordine alla equazione Cneve Tarchu Rumach Cn. Tarquinius Romanus. Secondo lui non è propriamente sicuro che la desinenza ach caratterizzi in etrusco gli etnici. Certo non è assolutamente sicuro; ma che Rumach qui significhi Romanus è reso assai probabile, per non dir certo, dalle. circostanze concomitanti. E non è neppure per sè assolutamente sicuro che Tarchu voglia dire Tarquinio, e se la parola si fosse trovata isolata non vorrei sostenerlo: ma anche qui bisogna tener conto delle circostanze concomitanti. E lo stesso vale anche più per l'altra obbiezione del MÜNZER che i nomi potrebbero esser messi a caso dall' artista. Qui non si tratta di nomi scelti a caso, ma d'un complesso di personaggi che la tradizione mette in rapporto gli uni con gli altri. Nè si dica che l'artista ha scelto a caso i nomi da un ciclo di leggende che gli era famigliare, perchè i nomi non sono collocati a caso. Caele Vibenna si trova accanto al suo fidelissimus sodalis, Mastarna. E se i due fratelli Vibenna non compariscono insieme tra gli assalitori, la ragione sta evidentemente in ciò che uno è prigioniero e viene liberato da Mastarna e dal fratello. Insomma il MÜNZER in tutto il suo lavoro ha esaminato soltanto i singoli elementi della prova e li ha trovati isolatamente ipotetici e deboli. E forse non a torto. Ma ciò che è forte non è ciascun argomento per sè, si bene il loro complesso. L' apologo del fascio delle verghe si applica anche alla critica storica.

Da queste premesse deriva che io ritengo perfettamente riuscita al KÖRTE la interpretazione delle pitture vulcienti. Esse rappresentano un assalto fatto da Mastarna ed A. Vibenna contro Cn. Tarquinio Romano per togliergli Caele Vibenna da lui fatto prigioniero. Il solo punto in cui l'analisi data dal KÖRTE vada corretta è, come ha notato giustamente il PETERSEN (loc. cit.), che la sorpresa di Tarquinio e de'suoi evidentemente non è accaduta in Roma. La maggiore verisimiglianza è che l'artista abbia voluto rappresentarla come accaduta mentre Tarquinio era tuttora in campo e ritornava da quella impresa in cui aveva fatto prigioniero Caele Vibenna. Riguardo ai particolari si possono tentare, e in parte sono state tentate, interpretazioni che ne rendano completamente ragione. Io credo che in un' opera d'arte convien rinunciare a spiegar tutto. Ad ogni modo ecco un saggio delle spiegazioni che potrebbe dare chi non si contenta di questa modesta riserva. Si può dire che gli assalitori, in quanto son nudi, vengono caratterizzati come avventurieri che

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hanno bisogno di essere molto spediti nelle loro imprese; in quanto son barbati, mostrano una trascuranza del cultus corporis facile a spiegare nella loro condizione. Si potrebbe dire che, se l'uccisore di Tarquinio è in procinto di cavar la spada dal fodero, mentre gli altri compagni hanno già ferito i loro avversari, è perchè Marce Camitlnas non ha potuto pervenire alla persona del re finchè i compagni non ne hanno abbattuto le guardie. E si potrebbe continuare; ma chi si diletta di simili spiegazioni, può anche trovarle da sè.

Queste ultime son quisquilie. D'importanza capitale è un altro punto. Se l'archeologo che per primo ha avuto il merito d' interpretare rettamente questa pittura, ha creduto di poterne senz' altro tradurre in storia il contenuto, ciò gli si può ragionevolmente perdonare. Sarebbe però imperdonabile di seguirne l'esempio. È di prima evidenza quel che il PAIS ha osservato (St. Romana I 1, p. 340 n.), che non si può attribuire al dipinto vulciente valore superiore a qualsiasi tradizione letteraria. Ma ciò non vuol dire che il dipinto abbia scarsa importanza; poichè esso ci rivela la tradizione etrusca in una forma abbastanza genuina ed antica, e senza dubbio superiore a quella che le è data nella citata orazione dell' imperatore Claudio. Servius Tullius (cosi Claudio), si nostros sequimur, captiva natus Ocresia, si Tuscos, Caeli quondam Vivennae sodalis fidelissi mus omnisque eius casus comes, postquam varia fortuna exactus cum omnibus reliquis Caeliani exercitus Etruria excessit, montem Caelium occupavit et a duce suo Caelio ita appellitavit (cosi Niebuhr: nell' epigrafe è appellitatus), mutatoque nomine (nam Tusce Mastarna ei nomen erat) ita appellatus est, ut dixi, et regnum summa cum reip. utilitate optinuit. Secondo Claudio parrebbe che Mastarna fosse venuto a Roma dopo la morte di Caele, secondo il dipinto parrebbe che al momento in cui Tarquinio soggiacque ai compagni di Mastarna Caele fosse tuttora vivo, anzi venisse liberato da Mastarna e da'suoi. Ma queste son divergenze di secondaria importanza. Tanto più importante è l'accordo sostanziale. La pittura ci rappresenta Mastarna che assale co' suoi e sopraffa Tarquinio. Claudio dice che Mastarna, venuto a Roma con le sue truppe, succede a Tarquinio. Pare evidente che Claudio cerca qui di nascondere l'occupazione violenta del regno e che l'orazione di Claudio e la pittura volciente ci rappresentano due versioni parallele della leggenda etrusca, la prima in parte alterata per metterla in rapporto con la leggenda romana.

Ciò che nel discorso di Claudio è in contraddizione tanto con la tradizione etrusca quanto con la tradizione romana, che egli tenta di conciliare, è la identificazione di Mastarna con Servio Tullio. Si tratta di una congettura, probabilmente di Claudio stesso. Per la tradizione romana Servio Tullio è un favorito della Fortuna, di nascita ignobile, di sentimenti popolari, al quale viene attribuita la origine delle principali istituzioni repubblicane. Per la tradizione etrusca Mastarna è un capo di

avventurieri, che vince per sorpresa un re di Roma e s'impadronisce della città. Diversità maggiore e più profonda non potrebbe darsi; e a questo scoglio si spezza la critica combinatoria di Claudio come quella di GARDTHAUSEN. Ed è perciò inutile cercare se Mastarna potrebbe derivare da Marcus Tarna (ossio Tarquinius), il che del resto non ha per sè ombra di verisimiglianza. Ed è del pari inutile il cercare da questo punto di vista se nelle leggende di Servio Tullio ci sia qualche elemento di origine etrusca. Anche se la leggenda della nascita di Servio dalla divinità manifestatasi oscenamente nel focolare di Tarquinio Prisco (Plin. N. II. 36, 204. Ovid. Fasti VI 627. Plut. De fort. Rom. 10) fosse di origine etrusca, ciò proverebbe assai poco. Ma non è menomamente dimostrato. La sola prova infatti che se ne adduce è questa: che la narrazione vien ripetuta in una forma della leggenda romulea (Plut. Rom. 2) in cui è manifesta l'influenza etrusca. Ora se l'influenza etrusca è qui evidente nel nome di Tarchetio, nulla prova che sia d'origine etrusca il sostrato stesso della leggenda, il quale si connette con l'antichissimo concetto comune a tutti gli Indoeuropei della efficacia generativa del fuoco (RAPP presso ROSCHER, Myth. Lexikon I 2058 seg.) ed ha, come è noto, riscontro nella leggenda di Caeculus, il fondatore di Praeneste.

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Su questo punto avevan già giudicato rettamente SCHWEGLER (R. G. I2 721) e MOMMSEN (I p. 12). È singolare che più recentemente vari critici, come GARDTHAUSEN, CUNO (Vorgeschichte Roms II p. 256) e PASCAL (La leggenda latina e la leggenda etrusca di Servio Tullio negli Atti dell' Accad. di Torino 32 p. 760 segg.), abbiano posto invece a base delle loro ricerche l'equazione Mastarna Servio Tullio. E lo stesso PAIS (p. 345) dice che Mastarna è la forma etrusca che risponde al mitico Servio." Le prove di ciò, quando si prescinda da ipotesi vacillanti come quella della etimologia di Mastarna, non riesco a trovarle negli scrittori citati. E non mi pare neppure dimostrato che Claudio abbia attinto questa identificazione alla tradizione etrusca, come ritiene il MCNZER (mem. cit. p. 610). Non si citino le frasi di Mitridate presso Pompeo Trogo (Justin. 38, 6, 7): Hanc illos (scil. Romanos) omnibus regibus legem odiorum dixisse, scilicet quia ipsi tales reges habuerint, quorum etiam nominibus erubescant, aut pastores Aboriginum aut haruspices Sabinorum aut exsules Corinthiorum aut servos vernasque Tuscorum aut, quod honoratissimum nomen fuit inter haec, Superbos. Qui coi servi e vernae Tuscorum si allude evidentemente a Servio Tullio (quem ferunt ex serva Tarquiniensi natum, come dice Cic. De rep. II 37); ma nulla prova che si alluda alla sua identificazione con Mastarna, il quale non apparisce punto come un verna, ma come un bellicoso condottiero, amico fedelissimo d'un altro avventuriere simile, Caele Vibenna, il quale egualmente non apparisce punto come un servo nè nella tradizione romana nè nella etrusca.

Ma se la identificazione di Servio Tullio e di Mastarna è una con

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