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Schlachtfeldes durch die Vorgänge bei den Nachbargruppen u. s. w. So konnte allerdings der Kampf der Hauptkräfte bei Pharsalus durch mehrere Stunden sich hinziehen, wobei es freilich trotz der anbefohlenen Passivität der Pompejaner die höchste Anforderung an das Geschick der caesarianischen Korpskommandanten bedeutet, das Gefecht mit ihren numerisch weit geringeren Kräften so lange hinzuhalten, bis das grosse Umgehungsmanöver durchgeführt war und endlich der machtvolle einheitliche Vorstoss der in der Front jedenfalls schon dringend ersehnten Hauptreserve die Entscheidung erzwang.

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So wäre denn unsere Diskussion zu einem nach jeder Richtung hin klaren und erschöpfenden Resultate gelangt, und es erübrigt nur noch der Wahrheit die Ehre zu geben und zu konstatieren, dass die hier entwickelte Idee nicht so neu und originell ist, wie es vielleicht scheinen mag. Ganz abgesehen von Moritz von Nassau, mit dessen Auffassung sie sich allem. Anscheine nach vollinhaltlich deckt, finden wir auch gerade bei jenen Autoren, deren Bekämpfung uns zur Notwendigkeit geworden, einzelne Stellen, welche beweisen, dass auch ihnen dieselbe Vorstellung nicht ganz fremd war.

So schreibt z. B. Schneider a. a. O. S. 138: „Wenn nun im normalen Verlaufe aus der dreifachen Bereitschaftsstellung eine zweifache Stellung im wirklichen Kampfe sich entwickelte, so soll damit nicht behauptet werden, dass die Manipelstellung 1) stets diesem Schema gefolgt sei: die Schlachtberichte des Polybius beweisen das Gegenteil. Sie zeigen, dass ein tüchtiger Feldherr aus der ursprünglichen Manipelstellung heraus in die Ordnung übergehen konnte, die seinen Zwecken am besten diente." Und weiter S. 149: „Zum Schlusse sei nochmals darauf hingewiesen, dass die römische Kriegskunst nicht an ein festes Schema der Aufstellung gebunden war, sondern gerade darin den besten Vorzug hatte, dass sie dem Feldherrn die grösste Freiheit in der Handhabung der Truppen bot 2). Da hätten wir nun implicite alles, was wir behauptet und abgeleitet haben, und die Uebereinstimmung wird noch eklatanter durch den Umstand, dass auch Schneider seinen Standpunkt von der Praxis Moritzens von Nassau ableitet. Der grosse, prinzipielle Unterschied liegt aber darin, dass Schneider diese Freiheit des Manövers, die er selbst als den „besten Vorteil" bezeichnet, gewissermassen nur als eine Summe von Ausnahmen gelten lässt und ihr ein starres Schema als Regel gegenüberstellt. Hierin liegt sogar ein

1) Da Schneider dieses Schema in ganz gleicher Weise auch auf die Kohortenlegion anwendet, so darf man wohl mit vollem Recht auch diesen Satz auf sie beziehen.

2) Aehnliche Andeutungen finden sich tatsächlich mehr oder weniger ausgesprochen bei allen übrigen Autoren, bei Rüstow, Stoffel, Delbrück und Fröhlich.

greifbarer Widerspruch: denn der Satz: , dass die römische Kriegskunst nicht an ein festes Schema gebunden war", schliesst ja gerade das aus, was der Autor vorher langat mig deduziert hat; niemand, auch er selbst nicht, kann es leugnen, dass wir es hier mit einem Schema im schlimmsten Sinne des Wortes zu tun haben, mit einer Schablone, wie wir sie heutzutage als „Schimmel" zu bezeichnen und zu verurteilen gewohnt sind, und deren nachweisbare Existenz die angeblich so hochentwickelte römische Taktik zu einem höchst primitiven Kriegswesen herabsetzen würde. Dasselbe gilt mehr oder weniger von den Auslegungen Rüstows, Stoffels, Delbrücks und Fröhlichs; nicht gilt es von der Auffassung Moritz' von Nassaus, der uns dieselbe allerdings nicht theoretisch, sondern praktisch, dafür aber um so überzeugender überliefert hat. Der ganze Widerspruch gipfelt in der einen Frage: Wozu das Schema, wenn der anerkannt grösste Vorteil des Systems darin besteht, kein Schema anwenden zu müssen?

Wenn wir damit die Diskussion schliessen, so können wir es mit der Genugtuung, dass die deduzierte Idee tatsächlich alles das für sich hat, worauf es ankommt: die absolute militärische Möglichkeit, die Uebereinstimmung mit dem Geiste der römischen Taktik, und die Nachweisbarkeit aus den Quellen. Jene aber, welche bisher andere Ansichten vertreten haben, dürfen hiebei immerhin konstatieren, dass auch ihre Ideen im Rahmen unserer Auffassung nicht durchaus ausgeschlossen, vielmehr wenigstens partiell immer möglich sind; allerdings nur als spezieller Fall unter vielen andern, nicht aber als alleinseligmachendes Dogma. Laibach, November 1906.

Moneta.

Di Vincenzo Costanzi.

L'esegesi etimologica della parola moneta proposta dall'Assmann in questo periodico (VI, 3, p. 477-488) è solidamente fondata su ragioni linguistiche (p. 478) e rinfiancata da argomenti storici (p. 481-487). Infatti la derivazione di moneta da moneo mancherebbe di ogni analogia di nomi con lo stesso suffisso formati col tema di verbi di seconda coniugazione, mentre il carattere eziologico della leggenda 1) che accreditava. questa connessione presso gli antichi avrebbe dovuto ragionevolmente suscitare il sospetto di un'insidia tesa dalla somiglianza di suono 2). D'altra parte attribuendosi la devozione del tempio a L. Furio Camillo 3) in un periodo nel quale per la prima volta furono intavolate relazioni tra Roma e Cartagine), e trovandosi monete puniche con la scritta machanat (ac1) Cicero, De divin. I, 101 Atque etiam scriptum a multis est, cum terrae motus factus est, ut sue plena procuratio fieret, vocem ab aede extitisse: quocirca Junonem illam appellatam Monetam. Cfr. Suid. Movita, di cui appresso torneremo a parlare. Per ora segnalo che uso per questa parola greca l'accentuazione parossitona nel citare Suida, la properispomena nel citare Plutarco.

2) Mi si permetta di rilevare che qualche altro critico ha messo in dubbio l'etimologia tradizionale. Cfr. Homo, Lexique de Topographie Romaine p. 581: L'origine du surnom Moneta est obscure".

3) Liv. VII, 28... legiones, quantum maturari potuit, in Auruncos ductae ... inter ipsam dimicationem Iunoni Monetae vorit.

4) L'Assmann (Klio ibid. p. 485) si industria di dimostrare - e probabilmente con successo che i Greci, ritenuti da lui pirati mandati dai tiranni di Sicilia in base a Liv. VII, 25, 26 citato a n. 3, furono combattuti con navi cartaginesi nel 348 (io direi nell'anno notato da Livio come 348: inoltre faccio notare che l'avvenimento si dovrebbe porre, stando al contesto di Livio, nel 3498, non nel 3487). L'argomento su cui l'Assmann si fonda, consiste nell'insufficienza della ragione assegnata da Livio per la mancanza di qualche res memorabilis di Camillo coi Galli: postremo cum litoribus (Graeci) arcerentur aqua etiam praeter necessaria usui deficiente Italiam reliquerant, poichè i Greci si potevano rifornire nelle isole Ponzia ed Enaria.

Mi sia ora permesso di toccare, senza diffondermi troppo, la questione cronologica relativa al primo trattato di Roma con Cartagine, rimandando per la letteratura a Rudolf von Seala, Die Staatsvertrage des Altertums p. 30. Se Tito Livio IX, 43, 26 dice che nel 306 cum Carthaginiensibus foedus tertium renovatum est mentre a VII, 27, 2 è dato come primo quello stretto nel 348, mi sembra evidente che egli contamini la tradizione annalistica con l'induzione ricavata da Polibio III, 22, 4 che K110, Beiträge zur alten Geschichte VII 3. 22

campamento) e am machanat, appare plausibile la congettura che moneta altro non sia che la riduzione latina pel tramite della forma greca uovira1) del nome semitico, avendo la scomparsa delle consonanti intermedie riscontro in tante altre trascrizioni di nomi semitici, come 'Paaß da Rechab, Provu da Rechum, Poßóau da Rechabam, Máɛɛd da Machalat, le quali ci offrono l'esempio dell'oscuramento del suono a in o, e di a in e, che occorre per giustificare la corrispondenza (p. 484) tra machanat e μovira (p. 484). Si tratta di un'ipotesi: ma l'opinione volgare non ha anch'essa la portata di un'ipotesi, e la tradizionale acquiescenza ad essa è una ragione per preferirla? Sensate ed acute sono le considerazioni dell'Assmann riguardo al carattere delle relazioni tra Roma e Cartagine, per le quali non già Cartagine avrebbe chiesto l'amicizia di Roma, ma Roma l'appoggio di Cartagine, prima nella forza dell'esercito, poi in quella del denaro mediante un prestito per condurre guerra contro gli Aurunci e opporsi alle piraterie delle navi greche.

Soltanto farei qualche riserva riguardo alla cronologia, sembrandomi preferibile la data di Diodoro (XVI, 69) per l'alleanza tra Roma e Cartagine, che la pone nel 344/3, piuttosto chè quella di Livio, che la pone nel 348. L'autenticità della data offerta dallo scrittore siceliota, oltre che dalla poziorità dei fasti romani conservati nelle sue storie in confronto dei liviani, sarebbe confermata dalla probabile indentificazione dei predoni greci apparsi sulle coste del Lazio con una parte dei mercenari di Faleco, che si portarono alle coste d'Italia e in Sicilia. Invero l'anno 349 di Livio (VII, 24) è una duplicazione dell'anno 345 (VII, 28), comparendo l'una e l'altra volta Lucio Furio Camillo come dittatore, con la differenza che nel primo di questi due anni depose la dittatura, e perciò fu creato console, nel secondo tenne regolarmente la dignità straordinaria suprema. Ciò ha riconosciuto il Pais in una notevole monografia intitolata La flotta greca

il primo trattato fu concluso nel primo anno della republica. Molto problematica mi sembra la soluzione del Goidanich (Studi Italiani di Filologia Classica Vol. X n. 263), che un trattato molto antico, riferito dalla tradizione al primo anno della republica, fosse stato stipulato tra Roma e Cartagine; che, conclusone un altro, modificandone le condizioni, sul nuovo protocollo fosse conservata l'antica dizione. Quest'ipotesi riposa in parte sulla perversa interpretazione del passo di Polibio: trλικαύτη γὰρ ἡ διαφορὰ γέγονε τῆς διαλέκτου καὶ παρὰ τοῖς ̔Ρωμαίοις τῆς νῦν πρὸς τὴν ἀρχαίαν ὥστε τοὺς συνετωτάτους ἔνια μόλις ἐξ ἐπιστάσεως διευκρινεῖν. Infatti soltanto alcune parole (ra) erano cosi oscure che a stento si potevano interpetrare riflettendovi (? Erordoɛwę), non già alcune parole con riflessione erano le sole intelligibili. Vedi Comparetti, Iscrizione arcaica del Foro Romano (Firenze-Roma 1900) p. 24.

1) Assmann ibid. p. 484 „Wir dürfen annehmen, dass dieses karthagische Silbergeld unter den Namen Moneta weit und breit an den Küsten des tyrrhenischen Meeres bei Griechen und Italikern bekannt und geschätzt war". E naturale adunque che la riduzione a Moneta fosse fatta dai Greci anche prima che dagli Italici, come provano anche gli esempi citati nel testo.

che nel 349 a. C. comparve davanti alle coste del Lazio1). Cospirano le indicazioni cronologiche di Polibio (II, 18) che pone una vittoria dei Romani nel 42o anno dopo la presa di Roma, da Polibio (I, 6) assegnata all'anno 387/6, cioè nel 347/6, e, ammettendo che il rQianоoт possa essere una traduzione meccanica e inesatta del rquázoria della fonte, nel 346/52). La guerra contro i Greci e quella contro gli Aurunci farebbero parte adunque del medesimo ciclo di avvenimenti, e si dovrebbero quindi concentrare nel medesimo anno civile: per conseguenza gli aiuti cartaginese con la flotta e col denaro sarebbero stati recati nella medesima circostanza, non già come l'Assmann sembra supporre, in omaggio alla cronologia liviana, in due momenti diversi (Klio, ibid. p. 486). Oltracciò mi sembra soverchiamente audace la congettura dell'Assmann (p. 488) che il testo del trattato quale si legge in Polibio non riproducesse il testo originario, ma fosse l'effetto di manipolazioni e adulterazioni fatte allo scopo di nascondere la realtà delle cose, che proprio Roma si trovasse in condizione di ricorrere a Cartagine per aiuto. Certamente un trattato stipulato in tali strettezze non avrebbe potuto esser redatto in termini, nei quali erano quasi maggiori gli obblighi di Cartagine verso Roma, che di Roma verso Cartagine. Il controsenso sparisce se noi ammettiamo che il trattato quale lo troviamo in Polibio, venisse concluso non nel momento in cui Roma ebbe bisogno dell'aiuto cartaginese, ma dopo che Roma ebbe superato le difficoltà contro le popolazioni italiche nemiche, come gli Aurunci, nè aveva più a temere molestie da parte dei

1) Cp. Studi Storici (Pisa, 1891) II, 429 -443 specialmente p. 433--435. Il Pais ha tornato in onore l'opinione del Niebuhr Röm. Gesch. p. 99 edit. Isler p. 75, correggendola in qualche punto e corroborandola con nuovi argomenti. Rilevo qualche inesattezza: il 348 liviano (VII, 26) va identificato col diodoreo 343/2 (XVI, 70), non già col 344/3.

2) Mi si permetta tuttavia richiamare l'attenzione sopra un fatto che a prima vista potrebbe toglier fede al concorso dell'autorità di Polibio in sussidio di queste combinazioni. Polibio più di una volta cita Callistene (IV, 33; VI, 45; XII, 17, 23) il quale narrò il trentennio di storia greca dalla pace d'Antalcida alla guerra sacra (Diod. XIV, 17; XVI, 145), e in un'opera separata la guerra sacra, se è giusta come parrebbe, avuto riguardo ad Athen. p. 560 B -- ( — l'emendazione del Westermann a Cicero Epist. ad Fam. V, 12, 2 di Troicum in Phocicum. Il sincronismo della presa di Roma con la pace d'Antaleida è accentuata da Polibio a I. 6. La guerra sacra terminò sotto l'arcontato d'Archia 346,5 (Diod. XVI, 69), proprio il 42° anno dopo la presa di Roma, se assumiamo la contaminazione supposta nel testo del calcolo esclusivo con l'inclusivo. Potrebbe essere casuale il sincronismo della vittoria sui Galli nell'anno in cui cessa la narrazione di Callistene, quando è assodato il sincronismo della catastrofe con l'anno in cui le storie di Callistene incominciano? Nondimeno il sincronismo si poteva ottenere con una leggera elasticità, non con una aperta violenza ai fasti, e quindi la cronologia polibiana per questa parte deve considerarsi come approssimativamente esatta. Rilevo che il Pais (o. c. p. 437) computa le cifre di Polibio ambedue secondo il calcolo esclusivo e scende addirittura al 345 per la vittoria di L. Furio Camillo.

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