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corsari greci. Infatti nel testo del trattato non si trova nessun accenno all'obbligo di una reciprocità d'aiuti, che non avrebbe potuto mancare nell'occasione di una guerra, come non manca in quello concluso contro Pirro (III, 25). Il trattato riportato da Polibio, a torto riferito al primo. anno della repubblica (III, 22), fu il suggello all'amicizia tra Roma e Cartagine in questo periodo tempestoso per Roma, non l'inizio delle buone relazioni tra i due stati1). La data del 344/3, cioè a un anno di distanza dalle imprese fortunate di Roma, conferma questa nostra congettura.

Ma sopratutto le induzioni dell'Assmann mi sembrano vulnerabili quanto al modo in cui concepisce l'applicazione dell'epiteto Moneta alla maggiore divinità femminile romana; anzi par di scorgere una certa incoerenza nelle sue combinazioni, o almeno non messo in risalto l'armonia del processo da lui escogitato. Se Camillo egli osserva (p. 484) - col suo esercito in quel tempo fu salvato sulle coste del Lazio con l'aiuto di Moneta (la deificata moneta), si presenta spontanea la supposizione che Camillo ebbe dai Cartaginesi aiuti di denaro come Federico il Grande ricevè durante la guerra dei sette anni sussidï dall'Inghilterra." E altrove (p. 487), dopo aver esposta l'opinione di Ernesto Curtius 2) che la semitica Astarte sotto vari nomi, per lo più di Afrodite Urania (aggiungerei: per effetto d'identificazione da parte dei Greci) nella sua marcia trionfale pel bacino del Mediterraneo fu la mediatrice del commercio tra l'Oriente e l'Occidente, e l'Istar-Afrodite ricompare non solo nella divinità di Ascalona, Pafo ed Erice, ma anche nella divinità cartaginese, nota che quest'ultima è proprio la Giunone Serrana, per la quale (Sil. Ital. VI, 468) giurò Attilio Regolo, e che era Cartagine (Verg. Aen. I, 15 sp.),

quam Iuno fertur terris magis omnibus unam

posthabita coluisse Samo.

Anche la Romana Cartagine si chiamò Iunonia. L'Identità di Giunone con Astarte attesta Agostino in hept. VII. 16". Primieramente è oltremo do inverisimile che l'importazione a Roma di spezzati con la scritta machanat potesse dar luogo a una repentina deificazione di questo nome, come sembra credere l'Assmann; poscia per l'assimilazione della dea Cartaginese con la Giunone romana, all'applicazione dello stesso nome come epiteto di Giunone. Non può esservi dubbio che i Romani a quel modo che

1) Si comprende come nel tempio di Giove nel Campidoglio si conservasse solo il trattato definitivo, più onorevole pei Romani. Molto infelice sarebbe l'espediente, se, ammettendo un doppio trattato in questa contingenza, si volesse spiegare l'espressione di Livio IX, 43, 26, cum Carthaginiensibus tertio foedus renovatum est. Probabilmente sotto la pressione della minaccia delle navi greche un trattato formale non ci fu, ma solo una domanda d'aiuto da parte dei Romani ai Cartaginesi, i quali trovarono la loro convenienza ad accordarlo, essendo in guerra con l'elemento greco di Sicilia e avendo a temere dai Greci d'Itala, che secondassero il movimento nazionale di Timoleonte.

2) Gesamm. Abhandl. II 444, 452.

riscontrarono la loro Giunone nella greca Era, così possano averla ravvisata nella dea suprema dei Cartaginesi, seguendo una consuetudine ben nota presso i Romani e presso i Greci di identificare le loro divinità con le straniere; ma che bastasse una secca indicazione sopra una moneta per ravvicinare la dea cartaginese alla romana, si stenta non poco a crederlo, poichè si dovrebbe supporre un processo troppo riflesso e difficilmente conciliabile con l'efflorescenza d'una leggenda popolare. Inoltre per la designazione di Cartagine come Città di Giunone e per la stessa identificazione di Giunone con Astarte, l'Assmann si fonda sopra testimonianze troppo recenti, perchè in questo caso possano avere un valore probativo); essendo troppo naturale che da quando i Romani furono ritenuti, sotto l'influenza dell'epos, discendenti dei Troiani, Giunone, dea nemica dei Troiani, fosse riguardata anche quale nemica dei Romani, e i Cartaginesi prendessero il posto degli Achei (Horat. Carm. II, 1 v. 25-26; Verg. et Sil. Ital. passim). Oltracciò, se è vero che nell'antichità esisteva ancora qualche traccia dell'esistenza di Moneta come divinità autonoma (Cicero, De nat. Deorum III, 47) accanto a Mens, Concordia, Spes, la consociazione con queste divinità astratte sta a mostrare che la deificazione ebbe luogo quando per l'etimologia popolare il nome si riconnesse col verbo monco, venendo esclusa ogni possibilità di deificazione del denaro. Ma contro la trama di ipotesi elaborata dall'Assmann si può addurre la tradizione, che riferiva l'origine dell'epiteto di Moneta, come designazione di un attributo di Giunone, al tempo della guerra di Pirro, e questa tradizione guadagna anzichè scemare di valore pel fatto che ci è conservata presso un compilatore farraginoso come Suida, il quale non poteva di sua testa escogitare il collegamento del responso di Giunone con la guerra di Pirro.

Invece è ragionevole supporre che la notizia di Suida derivi dall'opera di qualche erudito dell'ultimo secolo della repubblica, sul genere degli Actia di Varrone; e, se non si può dimostrare che Cicerone come la fonte di Suida ha riferito l'avvenimento al tempo della guerra di Pirro, neanche si può dimostrare che abbia seguita la tradizione liviana). In ogni modo è assurdo supporre che, se in base a una tradizione stabilita, al culto di Giunone Moneta si assegnasse l'origine nella metà del quarto secolo, potesse a qualche dotto alessandrineggiante degli ultimi tempi della republica venire in mente di creare una nuova data più recente. L'ipotesi 3) che nella versione di Suida si alluda all'introduzione delle monete d'argento, non è punto persuasiva, essendo ispirata alla tendenza di appianare

1) Solin. 27. 1; Plutarch. C. Gracch 11; Augustin. in heptateuch. VII, 16 (= Collect. Migne Vol. XXXIV. p. 797). Solet dici Baal nomen esse apud gentes illarum partium Ioris, Astarte autem Iunonis, quod et lingua Punica ridetur ostendere..

Iuno autem sinc dubitatione ab illis Astarte vocatur.

2) Suid. Morita. Cicero, De divin. I, 101. Cfr. n. 1.

3) Mommsen, Gesch. des ròm. Münzw. 301; Nissen, Italische Landesk. II 68 n. 2

e conciliare le discrepanze nella tradizione, col quale procedimento si mascherano le difficoltà invece di eliminarle. Queste circostanze stanno a mostrare che l'origine del culto di Giunone Moneta fu molto posteriore ai fatti che avrebbero ad esso forniti gli elementi, e nello stesso tempo ci fa sospettare che, se avesse avuto luogo il processo immaginato d'Assmann: a) personificazione e deificazione del denaro chiamato moneta, b) applicazione a Giunone per l'identità creduta di Giunone con la dea cartaginese, c) pervertimento del senso di Moneta per etimologia popolare, quando già il nome era diventato un epiteto di Giunone difficilmente avrebbe sopravvissuto la dea Moneta, come personificazione di un concetto astratto, nel patrimonio religioso dei Romani.

Pertanto di tutto l'edificio dell'Assmann rimane a nostro avviso consistente soltanto la base: la derivazione di Moneta da machanat, mediante il greco uovita. Per effetto dell'etimologia popolare fu la parola, che avea μονῆτα. perduta ogni apparenza di origine esotica, connessa col verbo moneo, e se ne personificò ben presto il concetto, dando luogo a una figura di divinità. D'altra parte, essendo stato associato il ricordo della mutuazione del denaro cartaginese con la dedicazione del tempio a Giunone votato da L. Furio Camillo, che divenne per allora la cassa del tesoro di Roma, sorse più tardi, malgrado l'oscuramento parziale della tradizione, la leggenda del monito di Giunone, e l'applicazione dell'epiteto di Moneta a questa divinità. Non è difficile infatti che nel tempio di Giunone fosse deposto il residuo del denaro cartaginese denominato moneta, e quindi ad esso venisse la denominazione di tempio della moneta. Pel passaggio alla significazione d'un attributo della dea, rimaneva soltanto un gradino facilmente superabile; ma ciò ebbe luogo quando Moneta era già concepita come l'avvisatrice. La versione di Cicerone che quest'epiteto le venne dal suggerire di sacrificare una troia gravida in seguito a un terremoto, e quella di Suida che, secondo il responso di Giunone doveano prendere le armi senza violare la giustizia, sono varianti di un unico Leitmotic. Se la versione di Suida abbia un carattere più arcaico di quella offerta da Cicerone, è un punto che non si può chiarire a causa del difetto di elementi per un giudizio fondato; ma la somiglianza nei contorni esteriori prova che ambedue sono l'espressione di una stessa tendenza. Adunque l'epiteto di Giunone Moneta non risale più in là del terzo secolo a. C., ed in Livio abbiamo solo uno dei tanti fenomeni di prolessi cronologica, che non ci devono meravigliare. La sopravvivenza di Moneta come divinità autonoma mostra che il concetto più arcaico cristallizzatosi nella tradizione popolare aveva resistito a ogni tentativio di critica perequatrice.

Beiträge zum Problem des oligarchischen Staatsstreiches in Athen vom Jahre 411.

Von Felix Kuberka1).

Durch die glanzvollen Untersuchungen Eduard Meyers im zweiten Bande seiner Forschungen zur alten Geschichte über die Revolution der Vierhundert ist das Problem des oligarchischen Staatsstreichs in Athen vom Jahre 411 in ein neues Stadium getreten. Diese Wendung knüpft sich in erster Linie an eine kritischere Bewertung der Akten als diejenige Köhlers und Wilamowitz', welche zuerst das neuerschlossene Material durchforschten und überzeugt von der absoluten Zuverlässigkeit des aristotelischen Urkundenberichtes diesen zum Kriterium der thukydideischen Geschichtserzählung erhoben. Wie wenig indes ein solcher Glaube an die unbedingte Zuverlässigkeit aktenmässig bezeugter Tatsachen berechtigt ist, lässt sich aus wenigen methodologischen Bemerkungen ersehen. Gerade in der Durchforschung neuerer Geschichtsperioden sind wir ja sehr oft in der Lage, die aktenmässige Ueberlieferung mit dem anderwärts sicher bezeugten Tatsachenverlauf zu vergleichen, und da zeigt es sich sehr häufig, dass die offizielle, aktenmässige Mitteilung eine von dem realen Geschehen der Dinge völlig abweichende Darstellung gibt. An die von Ed. Meyer angeführten Beispiele, die Ergreifung des Prinzipats durch Augustus und den Staatsstreich vom 18. Brumaire, möge hier nur erinnert werden 2). Das ist ja auch nicht zu verwundern. Sind doch sehr häufig diejenigen, welche die Akten ausstellen, aus diplomatisch-politischen Gründen gar nicht im stande, die volle, unverdrehte Wahrheit voll und ganz herauszusagen, ganz abgesehen nun von den Fällen, wo, wie so oft in revolutionären Zeiten, die nachträglich fixierte Aktenmitteilung lediglich

1) Bei der Redaktion eingegangen am 11. Februar 1907. - Durch die Freundlichkeit der Redaktion habe ich bei der Korrektur meines Aufsatzes noch von Judeichs Artikel über den Staatsstreich der Vierhundert, Rheinisches Museum Band 62 S. 295 ff. nachträglich Kenntnis erhalten. Eine Aenderung der im folgenden begründeten Auffassung hat mir freilich Judeichs Untersuchung nicht gebracht. Zugunsten der Geschlossenheit meiner Darlegungen möchte ich auf eine nachträgliche Polemik gegen Judeichs Ausführungen an dieser Stelle verzichten.

2) Forschungen zur alten Geschichte II, 423 f.

die Aufgabe hat, die dem realen Verlauf der Dinge ermangelnde Legitimität zu geben. Die Möglichkeit einer solchen gleichsam politischen Interpolation ist auch hinsichtlich der aristotelischen Urkundenaufzeichnung wenigstens methodologisch nicht zu bestreiten. Allein auch wenn wir die Skepsis nicht soweit treiben und den Akten das Vertrauen schenken, das sie verdienen oder nicht, bliebe doch immer noch die Möglichkeit, dass Aristoteles das in den Akten offiziell Mitgeteilte falsch verknüpft und daher die Begebenheiten nicht der Wahrheit entsprechend dargestellt hat. Völlig isoliert und in ihrer urkundlichen Originalität sind ja auch bei Aristoteles die offiziellen Akten nicht erhalten. Diese finden sich vielmehr als Bruchstücke in die historische Darstellung verwoben, die ihrerseits auf mehrere Primärquellen, so auf Thukydides, vielleicht die Atthis des Androtion 1), endlich die uns unbekannte, von der Hand eines Anhängers des Theramenes verfasste oligarchische Parteischrift, für Aristoteles nachweislich auch sonst eine der Hauptquellen, zurückgeht. Die Möglichkeit, dass bei diesen verschiedenen Grundlagen seines Berichts Aristoteles geirrt und falsche Schlüsse aus den Akten gezogen hat, ist nicht von der Hand zu weisen. Diese methodologischen Erwägungen sind freilich an sich nicht im stande, den aristotelischen Bericht als unzuverlässig und ungenau nachzuweisen. Aber sie zeigen doch wenigstens, wie wenig eine kritiklose Anerkennung des Wahrheitsgehaltes aktenmässig überlieferter Mitteilungen berechtigt ist, und wie sehr wir die Pflicht haben, auch auf die Urkunden die volle Schärfe der historischen Kritik anzuwenden.

Gerade in dieser Beziehung ist aber für die Brüchigkeit des aristotelischen Berichtes von Ed. Meyer der vollgültige Beweis erbracht werden 2). Nur an die Hauptpunkte möge erinnert werden. Wie wir aus dem Eingang cap. 30 sehen, hat nach den entscheidenden Anträgen der Kommission der Dreissig das souveräne Volk tatsächlich zugunsten der Fünftausend abgedankt und auf jede weitere Teilnahme an den Regierungsgeschäften verzichtet. Da ist es ein schreiender Widerspruch des aristotelischen Berichtes, wenn er die Annahme der in cap. 30, 31 mitgeteilten Verfassungsentwürfe ausdrücklich in eine unter dem Vorsitz des Aristomachos tagende Volksversammlung, 29o53) verlegt und völlig unberücksichtigt lässt, dass es eine Vertretung des souveränen Volkes nach dessen Abdankung inmitten des oligarchischen Regimentes der Fünftausend nicht gibt. Auch betreffs der realen Existenz der Fünftausend, ihrer tatsächlichen Konsti

1) Die Daten cap. 32, 1 sind zweifellos einer Atthis entnommen.
2) Forschungen II, 421, 424 ff.

3) Der Versuch Köhlers in Sitzungsberichte der Kgl. Preussischen Akademie der Wissenschaften 1900 S. 813 das Wort 727905 im Sinne der Gemeindeversammlung der Fünftausend im Gegensatz zu dem Verfassungsausschuss der Hundert zu fassen (vergl. auch Volquardsen, Verhandlungen der 48. Versammlung deutscher Philologen und Schulmänner S. 125), ist mit Recht des Sprachgebrauchs wegen abgelehnt worden.

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