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Sospirando te lamenta

Che le donne no à fermezza:
E le à curta o ) longa dreza
Con.... provocando.

Il sig. FRANZ TAPPEINER in un suo libro recente (Studien zur Anthropologie Tirols und der Sette Comuni, Innsbruck, 1883), dopo aver misurato ben 4935 crani tirolesi e trentini e 3185 teste di vivi, e studiata, così almeno egli assicura, la storia e l'archeologia dei paesi di cui si occupa, è venuto a conclusioni etnografiche sbalorditoje, che egli enuncia, come è proprio dei suoi connazionali, dogmaticamente. Riferiamo, a edificazione dei lettori, quelle che più strettamente riguardano il Trentino, o, come dice il Tappeiner, il Tirolo italiano: 1o Il popolo del Tirolo consta di elementi reto-romani e germanici. 2o I Retoromani sono Reti incrociati con coloni romani. 3o I Ladini sono Reti puri, senza miscela romana o con minime traccie di romanità; hanno però adottata una lingua latina, conservandola a tutt'oggi. 4° Fra i Tirolesi tedeschi l'elemento reto-romano è relativamente molto maggiore del germanico. 5o Nei Tirolesi italiani, al contrario, l'elemento reto-romano è minore, e quindi maggiore l'elemento germanico. 6° I Germani della Pusteria, della valle dell'Eisack e di quella dell'Adige da Spondinig a Mezzolombardo sono Bavari. 7o I Germani di Val Venosta fino a Spondinig sono Alemanni. 8o I Germani del Tirolo italiano (Valli di Fiemme, di Non, di Sole, Valsugana, Giudicarie, Val d'Adige da Mezzolombardo in giù) sono una miscela di Longobardi, Alemanni, Franchi, Eruli e Rugi. 9o La Valsugana, come i Sette Comuni, è popolata da Reto-romani misti con molti elementi alemanni e longobardi.

Al dott. Tappeiner, come si vede, è piaciuto di portare coi suoi studi, che vorrebbero essere scientifici, un po' d'aiuto ai signori Schneller, Mupperg, Angerer e consorti (cfr. Archivio, I, 229, e H, 397), che di aiuto devono sentire davvero molto bisogno. Anche a noi, benchè profani agli studi antropologici, non tornerebbe forse difficile di mostrare come siano spesso errate e talvolta contradditorie le deduzioni che il Tappeiner tira dalle sue misurazioni; ma preferiamo di contrapporre a chi si dice uomo di scienza la parola di uno scienziato vero. Nel numero 23 del giornale La Natura, PAOLO MANTEGAZZA Così rispondeva al Tappeiner: «Non crediamo che l'autore abbia voluto adoperare l'antropologia per uno scopo politico, ma dobbiamo pure protestare in nome della scienza contro l'abuso della craniologia, colla quale si vorrebbe dimostrare, per esempio, che nel Trentino yi sono più elementi germanici che nel Tirolo tedesco. Il surtout pas trop de zèle del grande diplomatico francese non potrebbe trovare più opportuna applicazione. Se è vero quel che voi dite, che fra i Tirolesi tedeschi l'elemento reto-romano è relativamente molto maggiore del germanico, in nome dell'etnografia passeremo

1) K.: El... a curta e.

le Alpi e anderemo a reclamare questo ramo romano della nostra stirpe. Ma noi nè vogliamo scherzare in questione tanto seria, nè vogliamo adoperare la scienza per scopi politici.... Noi vogliamo soltanto accusare il dotto medico tedesco dello strano abuso ch'egli fa della craniologia. Egli colle misure craniometriche crede di avere in mano un mezzo analitico così fino e così rigoroso da lasciarsi addietro i reattivi e le bilancie di precisione del laboratorio chimico. Egli scompone coi suoi compassi quel corpo composto che è una razza, un popolo, e ce ne dà i componenti centesimali, il peso atomico e gli equivalenti, e alla somma corrisponde sempre un esattissimo 100,00. Que

sta è chiromanzia, non antropologia ; questa non è scienza, ma romanzo scientifico». Questo per la parte scientifica del lavoro del Tappeiner: quanto alle sue considerazioni storiche ed archeologiche, il nostro prof. B. MALFATTI, richiesto dal Mantegazza, ne mostra nello stesso giornale con brevi ma efficaci parole la stranezza e la irragionevolezza. Si può sperare che d'ora innanzi i dotti tirolesi sappiano distinguere la scienza dalla politica, e nella scienza ab-` bandonino il dogmatismo? Ne dubitiamo.

vv

L'Accademia dei Lincei deliberò di pubblicare fra i suoi atti uno studio del prof. A. GALANTI intorno a I Tedeschi sul versante meridionale delle Alpi, lavoro che ottenne il premio di 3000 lire nel concorso bandito dal Ministero della pubblica istruzione fra gli insegnanti nelle scuole secondarie, per le scienze storiche e sociali. Questa monografia è divisa in due parti. Nella prima vengono determinati topograficamente i distretti delle nostre Alpi dove si parla, o si parlava un tempo il tedesco. Considerato a parte il Tirolo meridionale tedesco, codesti territori furono divisi dall'A. in tre zone: piemontese, venetotrentina e friulana. A questo quadro topografico fa seguito la esposizione storico-cronologica delle invasioni e immigrazioni germaniche in Italia, dove l'A. discute le svariate ipotesi messe fuori per ispiegare l'origine delle colonie tedesche dell'Italia, e sfrondatane la parte fantastica, cerca di raccogliere i dati sicuri che abbiamo in proposito. La seconda parte è dedicata opportunamente a confutare le dottrine di quella notissima scuola storica, per la quale i Tedeschi delle nostre Alpi non sarebbero che gli avanzi di una estesa colonizzazione germanica, che nell'età di mezzo avrebbe abbracciato quasi tutto il Veneto, il Friuli, tutto il Trentino e buona parte della Lombardia e del Piemonte! Speriamo di vedere fra breve in luce questo lavoro; ne riparleremo allora più ampiamente.

Il nostro collaboratore dott. PAOLO ORSI Ci scrive:

<«< Il signor Udalrico Plancher di Rovereto, ora residente in Trieste, ha donato al Museo Civico della sua città natale una serie di importanti oggetti archeologici trovati tutti nell'agro di Aquileia. Sono anfore olearie e vinarie, urne cinerarie, di pietra, di vetro ed anche di terra cotta, lucerne, vasellini

di vetro e di cotto, e alcuni pochi bronzi. Fra tutti questi oggetti va specialmente ricordata una bella ed inedita epigrafe cristiana, scritta in caratteri volgari sopra una sottile lastra marmorea di m. 0.90 × m. 0.25. Eccone il testo:

PARDO

LVCIFERAFILIO MERENTI

QVIBIXIT ANIS CINQUE

Sotto il terzo verso è inciso un rozzo delfino che nuota a sinistra. Questo titolo ci si appalesa di età tarda e cristiana dai nomi personali Pardus e Lucifera, nonchè dalla comune formula del bixit annis. Ma ciò che presenta qualche singolarità in tale monumento è il cinque per quinque, forma in uso nel basso impero e propria della parlata volgare delle classi inferiori, dalla quale poi verranno man mano svolgendosi sotto speciali condizioni i germi della lingua italiana. Di cotali forme di bassa e volgare latinità si hanno dei bellissimi esempi in titoli cristiani dei secoli V, VI e VII; essi rappresentano perfettamente dei tipi mediani tra il latino e l'italiano. Eccone alcuni relativi ai numeri:

LAT. CLASSICO Tres

BASSA LAT. Treis (in dialetti dell'Alta Italia Trei), (Quintiliano, I, V, 15).

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Fra i molti e preziosi manoscritti relativi al Trentino. che furono donati alla Biblioteca civica di Rovereto da quel benemerito uomo che fu Fortunato Zeni, v' ha un fascicoletto di 9 carte, che porta il titolo: « Brevi cenni sulla Tipografia Ebraica di Riva di Trento sulla base dello Steinschneider nella grandiosa opera: Catalogus Librorum Hebraicorum in Bibliotheca Bodleiana (Beròlini, 18521860) ». Furono compilati dal signor Alessandro Zammatto di Padova e portano la data del 1868. Enumerando le opere ebraiche stampate in Riva dal 1552 al 1562 egli ne cita 27, delle quali alcune mancano al catalogo Carmoly-Bampi (cfr. Archivio, II, 409), che verrebbe così accresciuto di qualche

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Quando Tomaso Luciani nel maggio del 1882 dando notizia in questo Archivio (I, 395) di una scoperta paletnologica istriana, e ricordando quelle avvenute anteriormente, esprimeva il voto che in seguito a nuovi rinvenimenti «<i fatti positivi della paletnologia aggiunti alle ragionate induzioni storiche potessero finalmente troncare ogni dubbio intorno ai primitivi abitatori » dell' Istria, nessuno avrebbe potuto imaginare che così presto si sarebbero iniziati e proseguiti in quella nostra provincia grandi scavi sistematici di sepolcreti preistorici, e con tale fortuna da meravigliare i cultori di tali studi, e da

gettare ampia luce non solo sull'antica etnografia istriana, ma in generale su tutta la paletnologia italiana.

A Vermo presso Pisino, località già indicata ai cultori della paletnologia dal Luciani (cfr. Archivio, II, 414) nel maggio del 1883 fece qualche escavazione con discreto risultato il dott. C. Marchesetti di Trieste 1); ma le scoperte maggiori vi furono fatte nell'agosto e nel settembre da un delegato dell'i. r. Accademia delle scienze di Vienna, il dott. C. Moser, e gli oggetti rinvenuti furono così, pur troppo, asportati dalla provincia. Il Moser 2) mise in luce circa cento sepolture, tutte a incenerazione, con ossuari deposti in loculi aperti nella roccia e chiusi da sfaldature di pietra. Il sepolcreto era tutto cinto da un muro.

Degni della massima considerazione sono i prodotti dello scavo da lui fatto, per i molti punti di contatto che essi presentano, si nei bronzi come nelle ceramiche, da una parte con gli oggetti di Hallstadt, dall'altra con quelli di Este. Ma più che al primo di questi due gruppi la nostra necropoli va legata al secondo. Difatti a Vermo si trovarono situle in bronzo e in terra cotta, una cista a cordoni, una situla-ossuario fittile con decorazioni, tutti oggetti identici ad altri di Este, nonchè il tipico ago crinale a nodi.

Frattanto gli studiosi istriani avevano compreso ch'era necessario ch'essi stessi iniziassero scavi regolari nei molti luoghi dove si può ragionevolmente ritenere che esistano sepolcreti primitivi, e impedissero, cosi, se non altro, che gli oggetti che si rinvengono, sacre testimonianze del passato, emigrino oltremonti. La Giunta provinciale dell'Istria continuò quindi per proprio conto, e con risultati soddisfacenti, gli scavi di Vermo; e, per impulso e sotto la direzione di tre egregi istriani, il dottor Andrea Amoroso vicepresidente della Dieta provinciale, il conte Becich, e il dottor Marco Tamaro direttore del giornale L'Istria, ne fece iniziare altri ai piedi dei castellieri dei colli Pizzughi, a levante di Parenzo. Questi nuovi scavi, condotti sistematicamente, riuscirono di una importanza capitale, così da indurre il Pigorini a dichiarare l'Istria «< una vera miniera di tesori paletnologici italiani ». Nè qui si fermarono gli studiosi istriani, ma riuscirono in breve a costituire una Società istriana d'archeologia e storia patria, destinata specialmente allo studio della paletnologia della provincia; e fu approvata in massima la creazione di un Museo provinciale, affinchè gli oggetti non emigrino ulteriormente. Solo, si discute ancora sulla scelta della città ove il Museo abbia da sorgere: Parenzo, Capodistria, Pisino, Pola, Trieste si disputano un tale onore. Noi approviamo di gran cuore questi entusiasmi per lo studio della storia patria, a far nascere i quali non fu estranea del tutto la fondazione di questo Archivio; ma non

1) V. più innanzi gli spogli del Bollettino di paletnologia italiana e dell'Archeografo triestino.

2) C. MOSER, Die praehistorische Grabstätte von Vermo alle pp. 15-32 del VII Bericht der prachistorischen Commission der matematisch-naturwissenschaftlichen Classe der K. K. Akademie der Wissenschaften über die Arbeiten im Jahre 1883, negli Atti dell'Accademia di Vienna del 1884, vol. 89.

vorremmo che nella questione del Museo entrasse un po' del vecchio campanilismo. Lo si faccia a Parenzo, e presto.

I terreni da scavare ai Pizzughi sono così vasti da richiedere il lavoro di qualche anno. Frattanto una relazione stesa dal dott. Amoroso e pubblicata nel giornale L'Istria, rende conto degli scavi finora fatti, i quali condussero alla scoperta di due necropoli al sud di due fra i tre castellieri dei Pizzughi: a mezz'ora di distanza, verso il monte S. Angelo vi sono altri due castellieri. Riproduciamo la rassegna, abbastanza ampia, dei molti oggetti rinvenuti :

« Sistemi di tombe. La formazione delle tombe non segue sempre lo stesso sistema. Alcune tombe delle due necropoli avevano la forma quasi quadrangolare, un metro circa per ogni lato. Erano chiuse da tutti i lati da mura larghe dai 50 ai 60 cent. costrutte con massi poligonali sovrapposti, senza legatura di cemento, ma bene combacianti tra loro, sì da non potere essere demolite che coll'impiego del piccone. L'intiero recinto era poi coperto da una o da due grandi sfaldature. Di queste tombe disposte longitudinalmente l'una appresso l'altra, in direzione Nord-Sud, ne furono rinvenuté quattro in una sezione della necropoli del Castelliere di mezzo, che fu intieramente escavata. Quelle sostruzioni servivano manifestamente a formare le cinte esterne, ed a dividere nello stesso tempo le tombe tra loro. Queste tombe hanno tutta la apparenza di essere state tombe di famiglia, e probabilmente di famiglie agiate; giacchè ivi appunto furono rinvenuti tre ossuari di bronzo, l'ossuario fittile, di cui farò cenno più avanti, altro ossuario dipinto della stessa. provenienza e fattura, l'armilla a molla spirale, la fibula a navicella, alcuni aghi crinali a globetti ecc. Ciascuna tomba racchiudeva da tre a cinque ossuari di ossa combuste, riempiuti con terra di rogo, e senza l'accompagnamento di vasi accessori. Gli ossuari poggiavano alla base sopra una lastrella, ed erano coperti alla sommità da altra lastrella. Più spesso erano però incassati fra sei lastre, cioè quattro ai lati, una lastra alla base, ed altra alla sommità. Sostruzioni e lastre sono tutte della solita pietra della località, che è la calcare. Non portano traccia che siano state lavorate.

<«< Altre tombe apparvero riunite a gruppi. Eseguito lo sterro superficiale, esse si presentavano all'occhio come un reticolato sporgente dal terreno. Queste tombe aderiscono l'una all'altra; hanno forma cilindrica irregolare, e sono costruite con un ciottolato di pietra calcare, che le divide a vicenda. Al vertice le chiude lo stesso ciottolato, oppure una sfaldatura. In queste tombe non vi ha per lo più che un solo ossuario, incassato fra sei lastre, oppure coperto, come dissi più sopra, da una lastrella, e poggiante alla base sopra altra lastrella. Dove manca la lastra di copertura, questa è sostituita da una ciotola, oppure da una scodella-coperchio. Altre tombe della stessa forma stanno, invece, perfettamenta isolate.

<«< Non mancarono anche gli ossuari in semplice buca, ricoperti da una sfaldatura e circondati da terra di rogo.

« Le tombe sinora scoperte nelle necropoli dei due Castellieri ammontano a 58. La profondità dello scavo varia dai cent. 60 a m. 1,60.

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