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P. ORSI

NUOVE NOTE DI PALETNOLOGIA TRENTINA

IV, 9-13. La terza categoria ora descritta si modifica ancora, e con l'accorciamento della lama e per un maggiore sviluppo delle alette raggiunge la forma più perfetta del vero paalstab (tav. I, 4-5), conservando però sempre la base coll' intaccatura o foro da passarvi uno stecco od un chiodo '). Parecchie di queste accette, frequentissime a Peschiera, comuni alla fine del periodo del bronzo ed a quello del ferro, provengono dal Trentino; una, lunga cm. 11, venne al Museo di Trento da luogo incerto del Trentino; una seconda, lunga cm. 18, trovata al monte Visle in Valsugana è ora proprietà del barone Luigi Ippoliti di Borgo; una terza di Povo, lunga cm. 17, sta al Museo di Trento (tav. I, 4), e due altre appartengono alla raccolta De Vigili di Mezzolombardo. Una di queste ultime, lunga cm. 13, fu scavata nella località detta Calcara presso quella borgata (tav. I, 5); l'altra, di cm. 20, viene da luogo incerto della Valle di Fiemme.

Lascio tutti gli altri paalstab che per la loro forma speciale si possono attribuire con certezza alla prima età del ferro. Dovrei invero, per esaurire la materia, illustrare anche le lance trentine in bronzo, ma non lo faccio perchè mancano ancora i dati necessari a distinguere le armi delle due età, poichè è certo che la lancia in bronzo del periodo più antico è eguale a quella del successivo. Non di meno vo' enumerare quelle che conosco: una piccola di Ziano nel Museo di Rovereto; una grande e due piccole di Mezzolombardo (Calcara) nella raccolta De Vigili, sette altre nel Museo di Trento, delle quali due provengono da luoghi trentini indeterminati, una da Terlago, due dal Doss Trento, una da Trento, una da Aldeno. In tutto quindi 11 esemplari.

Roma, nel marzo 1884.

PAOLO ORSI.

nostri ora posseduti dal Museo preistorico di Roma e trovati l'uno (n. 18076) in una terramara del Parmense, l'altro (n. 18075) in quella di Campeggine. 1) Tutti e quattro i tipi di accette fin qui descritti furono trovati anche a Zurigo in palafitte della vera età del bronzo (cfr. KELLER, op. cit., VIII Bericht, tav. III, 4-9).

Nota. I n. 1-5 e 7-12 della tav. I sono riprodotti a 1/2, non a 1/4 del vero; il n. 6 a 1/3; così i n. 1 e 2 della tav. II a 1/3, non a 1/9.

LE SACRE RELIQUIE

DELLA CHIESA PATRIARCALE D'AQUILEIA.

Memorie e documenti.

In seguito alla pubblicazione degli inventari del Tesoro patriarcale d'Aquileia fatta in questo Archivio (I, 95-106; II, 54-71, 149171; III, 57-71) mi parve non inutil cosa di occuparmi di due tra le più venerate reliquie che resero insigne quella Chiesa. Con la scorta di nuovi documenti spero di poter rettificare quanto ne hanno scritto i passati agiografi e cronisti, e di poter anche aggiungere qualcosa alla loro illustrazione.

Dirò in prima delle vicende de' corpi de' SS. Ermacora e Fortunato, patroni dell'arcidiocesi aquileiese, e poi dell'evangeliario che per lunghi anni fu riputato scrittura della mano stessa dello evangelista Marco. Nè si vorrà attribuire a mia soverchia credulità, se, specie a proposito delle spoglie di S. Ermacora, dovrò riportare le antiche leggende e le tradizioni colle quali si andarono tessendo le Vite de' Santi che leggonsi nei più vetusti passionari '), poichè l'avveduto lettore saprà spogliare dal meraviglioso ed inverosimile que' pii racconti, che privi di cotesti elementi non avrebbero colpito le semplici menti dei devoti di quell'età rimota.

Nella città d'Aquileja, metropoli della Venezia, emporio del commercio tra l'oriente e l'occidente, si raccoglie dalle tradizioni che intorno all'anno 46 dell'èra volgare, venisse l'evangelista Marco a predicare la religione di Cristo, e che affidasse al proprio discepolo Ermacora la nuova chiesa, dandogli il titolo di pastore o vescovo. Era questi uomo pieno di carità e di zelo e con le sue virtù seppe accrescere i seguaci della fede novella. Dai citati passionari

1) Mss. dell'Archivio Capitolare di Udine.

aquileiesi si rileva che al tempo della persecuzione neroniana, Ermacora e Fortunato, suo diacono, furon presi e decollati segretamente in Aquileia per sentenza di un Preside chiamato Sevasto) il 12 luglio dell'anno 67 dopo Cristo. Ponziano, il loro carceriere, di recente convertito al cristianesimo, raccolse il sangue dei due martiri, e Gregorio ed Alessandra, di nobile lignaggio aquileiese, venuti nascosamente di notte alla prigione, involsero in candidi e preziosi pannilini i santi corpi, cospergendoli prima di preziosi aromi, e li seppellirono in un campo della memorata Alessandra 2). Dove fimasero celati durante quei primi fervori per le reliquie, quando cioè la nuova religione divenuta pubblica, e il moltiplicarsi delle chiese e delle basiliche fecero accrescere siffattamente la ricerca di corpi santi, ch'essi andavano spesso a ruba nelle pie ma violente gare dei devoti. Fu così che le spoglie dei santi Ermacora e Fortunato andarono salve anche all'epoca della distruzione di Aquileia (a. 452). Risorta in seguito alquanto quella città dalle rovine, le sue chiese si arricchirono di nuove reliquie e di oggetti preziosi; per la sorte de' quali temendo il patriarca Paolo la imminente irruzione de' Longobardi, trasportò il tutto in salvo circa l'anno 567 nella vicina isola di Grado, tramutando colà anche la sede del patriarcato3). Mancavano però alla Chiesa di Grado, detta nuova Aquileia, i santi corpi di Ermacora e Fortunato, patroni dell'antica metropoli, perchè di loro si era smarrita ogni memoria. Narra il Dandolo "), che il patriarca Primigenio, che pontificò in Aquileia dal 628 al 648, ebbe in sogno l'avvertimento di far trasferire in Grado i corpi dei detti santi giacenti sul lido di Aquileia a tre miglia dall'isola, nel campo già stato della pia donna Alessandra. Si andò colà, e trovatili, con la maggior riverenza e con orazioni vennero portati in una barca: il luogo della partenza fu di poi chiamato Recessus, chè di là erano partite le sante reliquie. E quel sito verdeggiò poi sempre d'erba perenne.

Nessuna lapide e nessun documento aquileiese ricorda questo nome. 2) BOLLAND., Acta Sanctor., Iul. III, 251 (ed. Ven.); RUBEIS, Monum. Eccl. Aquil., 29.

3) PAULI DIAC., Hist. Langob., Berolini, 1878, II, 78. Arch. Stor. Ital., App. 19, p. 81. Chron. Sagorn. 4) A. DANDULI, Chron., Rer. Ital. Sript., XII, 113.

Chron. Altinate, in

Una leggenda riportata dai Bollandisti ') amplifica il racconto del cronista veneziano in questo modo: Il patriarca Primigenio, istruito da un sogno ch'e' dovesse togliere le ossa de' SS. Ermacora e Fortunato dal campo di Alessandra e portarle in Grado, ordinò al popolo di prepararsi con digiuni e preghiere a riceverle. Ciò fatto, andarono sul luogo, e l'anelato tesoro fu rinvenuto in un mausoleo di pietra. Ma estratti que' corpi, non si potevan rimuovere di là, onde si suppose che qualche parte ne fosse stata dimenticata. Ritornati all'arca, trovarono infatti una parte della gamba del b. Ermacora, e ripostala sul carro, questo corse velocemente alla riva, donde in una barca coperta le sante reliquie furono tradotte a Grado. Il luogo dell' imbarco detto Cessus, quasi recessus, o partenza dei corpi Santi, da indi in poi verdeggiò perennemente. Quel sacro deposito fu accolto nella città con tutti gli onori. E qui, seguitando il Dandolo, sappiamo che le dette reliquie furono riposte in luogo occulto, alla presenza di pochi testimoni. Aggiunge lo stesso cronista, che nelle riparazioni della chiesa patriarcale di S. Eufemia di Grado fatte eseguire nel 992 da Pietro Orseolo II, doge di Venezia, questi fece collocare nella cripta di S. Marco otto corpi di santi in quattro casse, con le opportune iscrizioni: una di queste casse conteneva appunto le ossa dei SS. Ermacora e Fortunato (DANDOLO, 225).

L'anno 1023, Popone, patriarca d'Aquileia (poichè fino dal 717 la S. Sede avea riconosciuta la divisione della diocesi aquileiese ne' due patriarcati di Grado e d'Aquileia), anelando, con l'appoggio dell'imperatore Enrico II, di riunire Grado alla sua chiesa, fece lega, a quanto sembra più probabile, col partito contrario al doge di Venezia, Ottone Orseolo. Questi, temendo per la propria sicurezza, si rifugiò nell'Istria col fratello Orso, patriarca di Grado. In seguito a ciò, Popone chiese ed ottenne di entrare in Grado a guardia e difesa della città, facendo, dice il Dandolo (p. 238), giurare da diciotto de' suoi seguaci che il suo scopo era di prender l'isola sotto la sua protezione. Ma appena entrato, le sue trup

1) Loco cit., p. 255. Questo prolisso racconto della Translazione de' corpi de' nominati Santi che la Chiesa d'Aquileia celebra il 29 agosto senza Officio proprio, fu, secondo i Bollandisti, scritto per lo meno avanti il secolo XIV. Ivi, p. 251.

pe misero tutto a sacco, non risparmiando nè chiese nè monasteri, che andarono distrutti; le monache furono violate e i tesori asportati1). Scossi da così gran tradimento, i Veneziani richiamarono dall'Istria il doge e il patriarca, e portatisi coll'esercito sotto Grado, l'ebbero a patti. La gioia del trionfo era però turbata dal pensiero che nel saccheggio della chiesa di Grado fossero state rapite le sante ossa di Ermacora e Fortunato. Il Patriarca Orso si risovvenne allora d'aver inteso da alcuni vecchi sacerdoti, che i detti corpi non erano stati riposti nell'altare a loro dedicato nella basilica gradese, ma bensì in un ignoto nascondiglio. Proseguendo nelle indagini, un monaco custode della chiesa, uomo vecchio, di provata fede ed onestà, disse che ai tempi di Pietro doge, padre di esso patriarca (a. 992), le bramate reliquie erano state riposte segretamente in un sito noto a tre persone soltanto, delle quali una sola, egli stesso, era ancor viva allora. Il luogo indicato era la cripta di S. Marco. Cominciati gli scavi, si rinvennero le quattro casse con iscrizioni. La prima conteneva i corpi de' SS. Fortunato e Felice; la seconda quelli de' SS. Ermacora e Fortunato; la terza i SS. Dionisio e Largo e l'ultima i SS. Ermogene e Fortunato. La leggenda dei Bollandisti sopra citata porta le seguenti aggiunte il patriarca Orso prima di conoscere dal vecchio monaco il luogo dove erano celate le reliquie della sua Chiesa, lo sciolse dal giuramento di segretezza già prestato; cominciato quindi lo scavo nella cripta di San Marco, fu trovata una cassa con entro i corpi de' SS. Fortunato e Felice, e quindi un'altra. Chiamati allora il doge e parecchi de' primari del luogo, si lesse l'iscrizione: Hic sunt ossa vel membra Sanctorum Hermachore et Fortunati. A destra era il corpo di S. Ermacora ed a sinistra quello di S. Fortunato. Le carni polverizzate occupavano quasi mezzo il recipiente.

1) La bolla di papa Giovanni XIX, del dicembre 1029 (UGHELLI, Italia Sacra, V, 1110), data a favore del patriarca di Grado e contro quello d'Aquileia, narra che Popone con inganni e spergiuri fu lasciato entrare in Grado, che abbandonò agli orrori di un saccheggio. Le chiese furono spogliate de' tesori, gli altari infranti, nè fu perdonato a monaci e monache, anzi quelle di due monasteri furono stuprate. Estratte le spoglie de' morti dai loro tumuli, inonoratamente furono mandate in Aquileia, ma poche furono le reliquie che Popone potè condur seco alla sua chiesa.

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