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Le ossa del santo vescovo furono distinte da quelle del suo diacono, come più grandi ed appartenenti a persona elegante: così la leggenda. Gli arti, ancora forniti de' legamenti, conservavano le loro forme. Le teste poggiavano sópra un fazzoletto di seta sparso di foglie di mirto ancora integre benchè decolorate dal tempo, le quali coprivano la superficie di que' corpi. A tal vista tutti i presenti, lagrimando e baciando la terra, resero grazie a Dio. Quindi il clero, cantando, preceduto dalla croce, con candele accese e turiboli fumanti, trasportò nella chiesa di Santa Eufemia il sacro deposito, collocandolo sull'altare della detta Santa.

Ritornati tutti alla cripta, vi rinvennero altre due casse, e in una i corpi de' SS. Dionisio e Largo, nell'altra quelli dei SS. Ermogene e Fortunato. Trascorsi otto mesi, comparve in sogno al patriarca Orso un vescovo, che gli domandò di vedere le sante reliquie, e poi che gli furono mostrate, pianse. Nella notte seguente il patriarca sognò una seconda volta, e gli parve di raccontare la prima visione al monaco della sua chiesa, e che questi gli ricordasse il sogno fatto da un cittadino di Grado, al quale era apparso S. Ermacora dicendogli: va dal patriarca e chiedigli perchè tenga insepolte le mie ossa. Il cittadino avea risposto che non si era potuto trovare ancora un luogo ad esse conveniente, e di più, che si aspettava dalle reliquie qualche segno miracoloso. Al che il Santo avea soggiunto: va, e digli, che, seppellite al più presto quelle ossa, appariranno i segni desiderati. E in fatti, poco appresso, mentre le si riponevano nel sito designato, si diffuse per il tempio un soave odore; e durante l'assedio di Grado, mosse da questo luogo una luce che corse a una lancia stesa al suolo. Presa questa in mano da un vigile, la luce corse sulla punta di un'altra lancia, e di là rivolò in città. Dopo 30 giorni l'assedio fu levato, vedendosi dai nemici che Grado era troppo ben difesa da' suoi Santi protettori. Qui termina la leggenda de' Bollandisti.

I cronisti gradesi tacciono di quest'ultima impresa tentata dal patriarca Popone contro Grado, ma non di quella del 1042 1),

1) II DANDOLO (1. c., p. 242) errò attribuendo questi fatti all'anno 1043, poichè indubbiamente Popone morì il 28 settembre 1042, ciò ch'è pure notato dal GFRÖRER, St. di Venezia, Venezia, 1878, p. 313.

nella quale questi s'impadroniva, a tradimento, della città, abbandonandola ad un secondo saccheggio ed incendio, senza rispetto de' luoghi sacri: non furono salve che le reliquie de' Santi che non si poterono trovare.

Scavando nel 1740 nella cripta dell'altare del Sacramento nel duomo di Grado, fu trovata una pietra colla seguente iscrizione:

HIC REPOSITA FUERUNT CORPORA SS. HERMACORE ET FORTUNATI

MCCCXXXVIII. DIE DÑICO XII JULII. TPRE DNI ANDREE PATHE GRAD. ET DÑI ANDREE MALIPIERO COMITIS. Sotto la pietra stava una cassetta coperta di lama d'argento dorato, la quale nella faccia avea scolpite due figure per lato rappresentanti le quattro Vergini aquileiesi; sul coperto un crocifisso con agli angoli i simboli dei quattro evangelisti. Le ossa erano involte in un velo rosso ').

Nel 1340, il 12 luglio, giorno della festa dei SS. Ermacora e Fortunato, il patriarca di Grado Andrea Dotto, assistito dai vescovi di Jesolo e di Pola, essendo conte di Grado per la Signoria di Venezia Rainerio Minotto, col concorso del clero e del popolo, trasportò i corpi de'detti Santi da alcune casse di pietra in un'arca di marmo 2). In occasione di questo trasporto si potè avvertire che poco prima, probabilmente nel 1339, ai tempi di Bertuccio Marcello conte di Grado, era stato rubato il capo di Sant' Ermacora (doc. I). Esaminati i testimoni alla presenza del patriarca sunnominato e del Minotto conte di Grado, si venne a sapere, che nel settembre 1339, verso la festa di S. Michele, Caterina, serva di Viviano prete di Grado, mentre gli accomodava il letto, in capo a questo, fra le lenzuola e la paglia, avea trovato un teschio in

1) L'Istria, n.o 12, anno 1850: Notizie di Grado, ecc. Tale cassetta ancora si conserva in Grado.

2) « MCCCXL. mense Julii. die. xII. translata | fuerunt corpora SS. Hermagore. et Fortunati. in suo festo. per ven. patrem. D. Andream | Dei gratia. patriarcham. Gradensem. assistentibus ven. | patribus. eius. suffraganeis. dominis. Petro. Equilinet Fratre. Perino Veneco Polen. episcopis. et aliorum | clericorum, et religiosorum. ac populi multitudi | ne. copiosa. processionaliter, que. antea. er ant. in capsis. lapideis. in sua. archa mar | morea, collocata. Tempore Dni Bartholomei Gr| adonico. ducis. Venec | et Dni Rayne | rii Minoto. comitis. Gradi. » Iscrizione scoperta nel 1883 nel duomo di Grado, ove stava nascosta da intonaco.

volto in un fazzoletto di seta. Corsa ad avvertire della strana scoperta il prete, che con altri colleghi stava all'osteria, egli spaventato volò a casa. Ma avendo la serva parlato di ciò ad altre donne di Grado, la voce n'andò a Diamante, madre di pre' Viviano, la quale minacciando la Caterina per i suoi maligni commenti, asseri che le reliquie trovate non erano quelle di S. Ermacora, ma di altri Santi, e che dovevano esser portate dal figlio all'altare della vicina chiesa de' SS. Cosma e Damiano, ove egli dovea celebrare la messa. Esaminata poi la nominata Diamante, disse che il fatto della scoperta del detto capo nel letto del figlio prete era avvenuto già due anni innanzi al tempo del conte Bertuccio Marcello, e che allora per Grado si era vociferato di un furto commesso da pre' Viviano di molte reliquie nella chiesa maggiore di Grado; e che essendo ella stata a Venezia e avendo raccontate tali voci al Marcello, questi aveva negato che pre' Viviano avesse commesso il furto, aggiungendo però che ad ogni modo non avrebbe peccato, poichè anch'egli avrebbe desiderato di posseder reliquie de’SS. Ermacora e Fortunato, e che tutti i corpi de' Santi che erano in Venezia, erano stati rubati.

Sull'esito del processo, e se si potesse ricuperare il capo attribuito a S. Ermacora, tacciono i documenti.

Ed ora mi convien ritornare addietro di alcuni secoli. Rincresceva troppo alla chiesa d'Aquileia che le spoglie de' suoi Santi protettori Ermacora e Fortunato riposassero lungi dalla città ove essi avevano sofferto il martirio per la fede, e fossero anzi possedute dalla vicina ed emula basilica di Grado. Donde vivissimo il desiderio di riaverle per ridare all'antica metropolitana il prisco splendore, ed aumentare anche coll'affluenza dei devoti le rendite della chiesa suddetta, del suo clero e della città. Non ne abbiamo, naturalmente, prove documentate, ma tutto ci fa ritenere che dopo l'epoca del saccheggio dato a Grado dal patriarca Popone nel 1023, si venisse diffondendo per Aquileia e per la sua diocesi la voce dell'esistenza de' corpi de' suoi Santi Patroni nel tesoro della sua chiesa. In que' lontani tempi nessuno pensò di chiedere la data e il modo della loro restituzione, e si prestò piena credenza e venerazione alle reliquie. La prima memoria del culto aquileiese di que' corpi non risale che al 1077. In quest'anno l'imperatore En

rico IV con due diplomi ') faceva alcune largizioni alla chiesa di Aquileia, nella quale, soggiungeva, riposano le membra di S. Ermacora chiare per miracoli. Nel 1228 Gerardo vescovo di Cittanova accordava indulgenze a coloro che avessero contribuito al restauro della basilica Aquileiese, ove si conservavano le Reliquie de' SS. Ermacora e Fortunato 2). Di più, tutti i vescovi soggetti al patriarcato d'Aquileia, dovevano portarsi ogni anno a visitare que' santi corpi nella loro metropolitana 3). Ma ciò non basta. Il patriarca Bertrando in una lettera al decano del capitolo d'Aquileia, scritta circa l'anno 1349), gli ricorda di aver fatto fare un'arca per riporvi le reliquie de' patroni della diocesi sua (arcam in qua recondi debent patronorum nostrorum reliquie cum cruce et capite argenteis..... non fecimus fieri gratis). L'arca fu eseguita in marmo, ma non ebbe il suo destino, poichè alla morte di Bertrando, avvenuta il 6 giugno 1350, vi fu collocato il corpo di lui, ed è quella che si vede tuttora dietro all'altar maggiore del duomo di Udine, ornata di rozzi bassorilievi raffiguranti i miracoli di S. Ermacora.

Erano ormai trascorsi più di tre secoli dal punto in cui siamo, e le metropolitane rivali di Grado e di Aquileia vantavano ambedue di possedere i corpi de' Santi Ermacora e Fortunato. Quali erano gli autentici? Erano forse stati divisi tra le due chiese? I devoti di quell'età non discutevano, chè la fede suppliva alla critica, e ogni chiesa teneva per buone le proprie reliquie. L'oculatissimo padre della storia ecclesiastica friulana, il De Rubeis, appoggiandosi alla cronaca del Dandolo già da noi citata, ritiene positivamente che a Grado fossero sepolti i due patroni della diocesi nostra, e noi pure qualche altro argomento abbiamo aggiunto a comprovare tale asserzione. Pare che così pure la pensasse il clero d'Aquileia poco dopo la metà del secolo XIV. Poichè e preti e cittadini aquileiesi per riavere que' due corpi tro

1) UGHELLI, V, 57.

2) Cod. Dipl. Istriano.

3) FLORIO, Vita del B. Bertrando Patr. Aquil., Bassano, 1791; citando documenti del sec. XIV, che esistono mss. nella Collez. Bianchi nella Bibl. Civ. di Udine.

4) RUBEIS, Mon. Eccl. Aquil., 876.

varono il modo di trafugarli da Grado nascostamente sul principio del febbraio 1356. Tali sottrazioni, frequentissime in quei tempi, si facevano senza scrupolo alcuno, anzi come un'opera meritoria presso Dio e gli uomini.

Nel giorno 19 del detto mese si parlò nel Senato Veneto per la prima volta del furto avvenuto in Grado 1) de' corpi de' SS. Ermacora e Fortunato e del sospetto che ne fossero autori quelli d'Aquileia, e fu deliberato di mandare un ambasciatore a quel patriarca, che allora era Nicolò di Lussemburgo, per chiederne all'istante la restituzione. Venne eletto a questa missione Giacomo Dolfin, al quale poi fu sostituito Giacomo Marango. Si recò il Marango in Aquileia, ed il patriarca gli disse che avrebbe inviato suoi ambasciatori a Venezia con la risposta. Il messo veneziano venne allora richiamato coll'ordine di esprimere nuovamente al patriarca il rincrescimento della Signoria per la sottrazione avvenuta de' due santi corpi e per certe differenze sorte allora in Istria. Riunitosi un'altra volta il Senato nel giorno 2 d'aprile, potè comprendere dalle parole degli ambasciatori del patriarca, che questi voleva condur le cose per le lunghe, dissimulando i fatti ed asserendo che i corpi richiesti erano stati sempre in Aquileia, e che perciò egli non era disposto a darli. Rispose il Senato, che la Signoria sapeva certamente che le reliquie rubate da Grado erano in mano del patriarca, e che voleva ad ogni modo riaverle nella loro integrità; se il patriarca non avesse obbedito gli si sarebbe sospesa l'annua contribuzione che la Repubblica era solita a pagargli per certi suoi diritti sull'Istria. Fu ordinato in pari tempo di comunicare l'inconveniente occorso a Grado al papa, al legato apostolico ed all'imperatore. Il 17 aprile il Senato stesso confermò tali deliberazioni con l'aggiunta di significare agli ambasciatori del Patriarca che per intanto da questo si facesse la restituzione delle involate Reliquie; che se egli potea vantare qualche diritto su di quelle, la Signoria era contenta che della questione fosse giudice il Pontefice (doc. II). In quel mentre Papa Innocenzo VI, accolte le istanze della Repubblica, ordinò con opportune parole,

1) Non occorre ricordare che l'isola di Grado era territorio di Venezia e che la Terra era retta da un patrizio col titolo di conte.

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