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a le sue mura, biscanterei: Ogni loco mi attrista ove io non veggio! Farei fare madrigali in sua laude, e dal Tromboncino componerci suso i canti; e ne la berretta porterei una impresa, ove fosse uno amo, un delfino, et un core; che desciferato vuol dire : amo del fino core!»

Non tutti i compositori, i cui nomi appaiono nella raccolta delle Canzoni nove, sono però ricordati dagli storici della musica. Io. Hesdimois, Francis. F. e S. B. de Ferro sembrano nomi sconosciuti così al Fétis come agli altri. Nè egli registra Io. Scrivano; ma lo possiamo senz'altro identificare con lo spagnuolo Giovanni Escribano, che lo stesso Fétis ricorda cantore della cappella pontificia sulla fine del secolo XV: cosi, per questo libro dell'Antico, egli appare autore anche di musiche profane. Gli altri son più noti: Ant. Cap. fu Antonio Caprioli di Brescia; Jac. Foglianus, nato il 1473, fu organista della cattedrale di Modena; Ph. de Lu. fu il veneto Filippo da Luprano o da Laurana (Lovrana?): tutti e tre autori di parecchie tra le Frottole petrucciane, al pari del compositore del n.o 18 delle Canzoni nove (M.), che fu, non già, come si potrebbe pensare, Marchetto Cara, ma Michele Pesento. Lo rilevammo ricercando quali della nostra raccolta fossero veramente le Canzoni nove alla stampa, e quali le alcune scelte de varii libri di canto, ciò è dalle Frottole del Petrucci, di che parla il titolo del volume. Come si può vedere qui appiedi, quelle già stampate dal forsempronese sono 18'); una delle quali, anonima nella nostra raccolta (n.o 26)

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e nel libro VII (n.o 27) delle Frottole petrucciane, appare ancor essa nel libro I di queste (n.° 36) come opera, e non solo per la musica, ma anche per le parole, dello stesso Pesento. La quale, licenziandoci dalle Canzoni nove, ci piace riferire a saggio, anche perchè questa barzelletta ha un curioso ritornello popolare:

Poi che 'l ciel e la fortuna

M'à per sorte destinato,

Che io sia servo a te sol' una

E di te sia inamorato,

Hor ascolta el miser stato

De quest'alma mia tapina!

Dè, voltate in qua, e do!, bella Rosina,
Che Gianol te vol parlare.

Dè, voltate in qua, e do!, bella Rosina,
Che Gianol te vol parlare.

Che Gianol te vol parlare.

S'io per te me struzo e ardo,
E disfò qual cera al foco,
E m'hai posto al cor un dardo
Ch'io non trovo pace (n)e loco,
Non pigliar mio mal a gioco,
Nè me dar più disciplina!

Voltate in qua.....

Canzoni nove n.o 28 Frott. del Petrucci, lib. VII n.o 13.

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Questi due ultimi come pure i n. 6, 10`e 27 erano stati ristampati dal Petrucci anche l'anno innanzi che s'imprimessero le Canzoni nove, fra i Tenori e contrabbassi intabulati col sopran in canto figurato per cantar e sonar col laute, libro primo, Francisci Bossinensis (un bosniaco?) opus. — Soggiungerò che della 1a delle Canzoni nove e della 35a si leggono musiche anonime nel codicetto Panciatichiano n.o 1 della Nazionale di Firenze, il quale è appunto dei primi anni del secolo XVI. Che si tratti delle stesse musiche non posso assicurare, non avendo potuto confrontarle con quelle delle Canzoni nove; come non ho potuto confrontare co' miei occhi le musiche dell'Antico con quelle del Petrucci; il che avrebbe per avventura giovato a togliere alcuni dubbi sulla identità di talune composizioni che si trovano così nelle raccolte dell'istriano come in quelle del fossombronese. — Di un altro codicetto musicale dei primi anni del cinquecento (magliab. XIX, 121) diedi brevemente notizia nella Rivista critica della letteratura italiana, I, 121.

Quanto più sei vaga e bella,

Dè, e ssi' tanto più pietosa!
Sei el mio dio e la mia stella,
E per te mio cor mai posa:
Deh, non esser si sdegnosa,
Chiara stella matutina!
Voltate in qua.....

Sei anni dopo le Canzoni nove, il chierico istriano pubblicava in Roma la sua opera maggiore, il Liber quindecim missarum, ritenuta da tutti una meraviglia nel suo genere; ma altrettanto e più si dovrebbe dire, benchè siano più scarse di ornati, delle Canzoni: dove la musica, per la gran nitidezza della impressione e per esser le note di corpo più piccolo, piace maggiormente all'occhio.

Intorno alla raccolta delle messe poco ho da aggiungere alla descrizione che già ne diedi: noterò soltanto che gli esemplari che se ne conoscono non sono per avventura tanto rari quanto pareva '); e diluciderò meglio un particolare. Notai già (Archivio, I, 188), come le grandi K, con le quali incominciano le messe alle carte 47, 81, 115 e 150 del Liber, presentino un leone che sostiene in alto una palla con le lettere GLOVIS; ma tacqui che il Catelani aveva supposto che queste componessero forse « il nome dell'intagliatore ». Tacqui, pensando che se l'Antico riuscì ad incidere con precisione ed eleganza le note musicali, avrà facilmente saputo intagliare da sè anche i disegni, suoi o d'altri (forse del miniatore romano G. B. Columba, socio dell' istriano nella pubblicazione delle Canzoni nove), che ornano i suoi volumi e principalmente il Liber XV missarum. E infatti le lettere GLOVIS non indicano punto il nome di un incisore, e ancor meno quello di Giulio Clovio (come parve agli illustratori dei manoscritti Ashburnhamiani, i quali avendole trovate in un Officium mortuorum Leonis decimi papae 2), at

1) A quelli già indicati ne sono da aggiungere altri tre: della Biblioteca imperiale di Berlino, della Universitaria di Königsberg e della Magliabechiana di Firenze.

2) Eighth report of the royal commission on historical manuscripts, app., part III; London, 1881, pag. 57, n.o 1075; Catalogo annesso alla Relazione alla Camera dei deputati ecc. per l'acquisto di codici appartenenti alla biblioteca Ashburnham; Roma, 1884, n.o 1005.

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tribuirono per ciò solo le vaghe miniature che lo adornano a
quell' illirico famoso); erano invece l'impresa adottata da Giu-
liano di Lorenzo de' Medici, secondo la moda di quei tempi che
abbiam visto così ben derisa dall'Aretino. « Il Magnifico Giuliano
- leggesi nel Ragionamento di Mons. Paolo Giovio sopra i motti
e disegni d'arme e d'amore che communemente chiamano imprese -
uomo di buonissima natura et assai ingenioso, che poi si chiamò
Duca di Nemours, avendo presa per moglie la zia del Re di
Francia, sorella del Duca di Savoia, et essendo fatto Confalonier
della Chiesa, per mostrare che la Fortuna, la quale gli era stata
contraria per tanti anni, si cominciava a rivolgere in favor suo,
fece fare un'anima senza corpo in uno scudo triangolare, cioè una
parola di sei lettere, che diceva GLOVIS, e leggendola a lo rovescio,
SI VOLG; come si vede intagliato in marmo alla chiavica Tra-
spontina in Roma; e perchè era giudicata di senso oscuro e leg-
gieri, gli affettionati servitori interpretavan le lettre a una a una, fa-
cendole dire diversissimi sentimenti, come facevano coloro nel con-
cilio di Basilea, che interpretarono il nome di Papa Felice, dicendo:
Foelix, id est falsus, eremita, ludificator ')». Perchè poi s'incontri
quel motto nel Liber, si può spiegare in più modi: o che papa
Leone abbia adottato egli pure l'impresa del suo parente; o che
l'Antico avesse obbligazioni anche col magnifico Giuliano, o vo-
lesse ingraziarselo; o che finalmente egli applicasse a sè stesso
il significato di quelle parole. Comunque sia di ciò, quel motto
non ha da far nulla col nome dell'incisore degli ornati, che potè
ben essere l'Antico; al quale vorremmo anzi attribuire anche altre
stampe di quel tempo. Infatti tra gli intagliatori in legno dei
primi anni del cinquecento il cui nome rimase ignoto, ce n'è
uno che si segnava con un monogramma che dal Bartsch)
venne interpretato per le lettere Me H intrecciate, ma che dal
Passavant 3) ci viene presentato nella forma che riproduciamo qui
in margine, la quale ricorda assai da vicino il monogramma

1) Ed. Ziletti, 1556, p. 32; cfr. ed. Daelli, 1863, p. 22.
ferente, ma col motto identico, è attribuita a Giuliano dal
«< ‹Pappagallo, con spiga di miglio negl'artigli: GLOVIS ».
2) BARTSCH, Le peintre graveur, XIII, 249.

3) PASSAVANT, Le peintre graveur, I, 148; V, 150 e 153.

di

Una impresa difcod. riccard. 2122:

cui si serviva l'Antico. Che siano davvero le iniziali del nostro istriano? Che cioè Andrea Antico si acconciasse anche a incidere i disegni di G. B. della Porta, cui potè conoscere a Roma? E, poichè ci siamo messi per questa via delle supposizioni audaci, che, del resto, nella storia dell'arte pare siano più facilmente consentite che in quella delle lettere, non si potrebbero per avventura attribuire al nostro anche le incisioni segnate AA, fra le quali si notano un Giulio II fatto nel 1512 e un Solimano del 1526? A chi avesse modo di confrontare le stampe di che si tratta, sarebbe forse facile il rispondere; di certo l'ipotesi degli storici della silografia, che l'incisore AA fosse circa il 1518 condiscepolo di Agostino Veneziano alla scuola di M. A. Raimondi in Roma, non contrasta in alcun modo alla identità che vorremmo stabilire.

A. ZENATTI.

(Continua).

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