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DONDE ABBIANO I CIMBRI PRESO LE MOSSE

PER CALARE IN ITALIA

Sino dagli anni 1873 e 1874 io aveva pubblicato nella Rivista Universale di Firenze una dissertazione sui Cimbri e sulla via tenuta da essi per calare in Italia, che poi ho ristampato coll'aggiunta di un'appendice nel vol. VI delle mie Opere varie (Milano, 1881, in-8) dalla p. 200 alla 434 (cfr. in questo Archivio, II, pp. 104-106). In codesta dissertazione ho dimostrato tra le altre cose, che tutto il nodo della questione tra le due sentenze che dividono i dotti su questo punto, se cioè i Cimbri siano calati in Italia per la valle dell'Adige ovvero per la valle dell'Atisone nell'Ossola, sta nello stabilire nettamente il luogo dal quale presero le mosse, ossia il punto della loro partenza.

Nella detta dissertazione, dopo maturo esame della questione, io conclusi per questa seconda via, mostrando che il luogo dal quale i Cimbri d'accordo coi Teutoni presero le mosse per passare in Italia fu la Provenza, e che perciò la strada scelta da essi non poteva essere se non quella della valle dell'Ossola percorsa dall'Atisone.

Ora il signor professore Giovanni Amennone Oberziner in un suo scritto dal titolo: I Cimbri ed i Teutoni contro i Galli e i Romani (Trento, 1886, in-8, di pp. 56), prese ad impugnare direttamente la mia sentenza ed a sostenere l'opposta, cioè la discesa dei Cimbri per la valle dell'Adige.

Io sono intimamente convinto dell'erroneità della sua opinione, e perciò riprendo la penna, non a mia difesa semplicemente, ma anche a difesa della verità e della scienza. Se io fossi in errore ed egli me lo avesse dimostrato con buone ragioni, riconoscerei di buon grado il mio sbaglio, e gliene renderei anzi grazie, manife

standogli tutta la mia gratitudine. Spero ch'egli sia per avere la medesima generosità, e che vorrà rispondere all'appello che gli faccio.

Ritenuto, come diceva testè, che il perno della questione per decidere quale via, tra le due, abbiano preso i Cimbri per calare in Italia, nella qual cosa consente pure il signor Oberziner (pag. 26), si aggiri sul luogo d'onde ebbero a prender le mosse, lascio da parte ogni altra discussione, che non potrebbe essere che secondaria, e limito il mio discorso a quest'unico punto, risoluto il quale è risoluta ancor la questione.

È cosa tuttavia degna di nota che il signor Oberziner sostiene la sua sentenza, opposta alla mia, sulla medesima autorità, sull'autorità cioè di Plutarco'); per la qual cosa si deve di necessità concludere che o l'uno o l'altro dei due è incorso in errore nell' interpretazione di quello storico. Essendo pertanto la cosa in questi termini, non vi ha di meglio che udire amendue le parti, acciò che il lettore possa giudicare con piena cognizione di causa da quale stia la ragione.

Ecco dunque senz'altro come il signor Oberziner traccia, seguendo l'autorità di Plutarco, la via tenuta dai Cimbri per calare in Italia.

«< Assai chiaramente - egli scrive alla pag. 27 - s'esprimono a tale proposito due autori di primaria importanza, Cesare cioè e

1) Mi spiace il dirlo, il signor Oberziner vorrebbe invece far credere che io fondi la mia sentenza sull'autorità, non di Plutarco, ma di Floro e di Orosio soltanto, scrivendo alla pag. 26 queste parole: «< Infatti da Floro e più ampiamente da Orosio, che il copia, crede egli (il De Vit) dedurre che i Cimbri e i Tigurini erano insieme co' Teutoni e cogli Ambroni (nella Provincia) allora quando questi cercavano di sfidare Mario a battaglia ». Questo è falso: il fondamento precipuo sul quale ho basata la mia sentenza è Plutarco. Io prego il signor Oberziner di leggere nuovamente quella stessa pagina da lui citata (pag. 383), e vi troverà le parole: Io mi fondo nella sostanza sull'autorità di Silla presso Plutarco, ecc. E quanto a quello che mi fa dire sull'autorità di Floro e di Orosio lo prego di rileggere la pag. 377 e di porla a confronto con quello che si dice da me nelle precedenti. Questa poca diligenza nel riferire i detti dell'avversario non so davvero come spiegarla. Nè insisterò d'avvantaggio su altri errori che mi attribuisce sul luogo di Floro e che in quella vece

sono suoi.

Plutarco, il primo dei quali, come già vedemmo, fa dividere i Cimbri dai Teutoni su a' confini de' Belgi '), ed il secondo dà chiaramente a divedere che a tale punto i barbari erano fuori della Provincia, e che Mario, tosto ch'ebbe contezza che si avvicinavano, roùs modeμious eyjus eivai, passò in tutta fretta le Alpi.... ».

1) Il signor Oberziner scrive alla pag. 27 in nota: « Non so comprendere come il De Vit possa chiamare Giulio Cesare a sostegno della sua ipotesi (pp. 327-328), mentre tutto affatto il contrario è asserito da lui come già a suo luogo abbiamo visto ». Il luogo al quale accenna è alla pag. 23, dove riporta il testo di Cesare, da me riferito alla pagina da lui citata (327), tolto dai libri De B. G. (II, 29), dove parlando degli Aduatici scrive: Ipsi erant ex Cimbris Teutonisque prognati, qui cum iter in provinciam nostram atque Italiam facerent, iis impedimentis, quæ secum agere ac portare non poterant, citra flumen Rhenum depositis custodiam ex suis ac præsidium sex milia hominum una reliquerunt. Il signor Oberziner riferisce questo passo al tempo nel quale i Cimbri si divisero dai Teutoni trovandosi insieme ai confini del Belgio, e quindi distingue l'iter in provinciam dei. Teutoni dall'atque Italiam dei Cimbri supponendoli partiti di là. Ma questa distinzione, che anch'io dietro l'esempio altrui aveva adottata, sebbene con altro intendimento (veggasi la pag. 222), è insostenibile. Essa non può riferirsi menomamente all'ultimo viaggio fatto dai Cimbri e dai Teutoni, ma si a quello ch'essi fecero la prima volta per venire nella provincia coll'animo di passare di là in Italia: e ringrazio ora il signor Oberziner di aver richiamato la mia attenzione su questo luogo di Cesare. La spiegazione di esso passo mi è data dallo stesso Cesare, il quale ebbe ad usare delle medesime espressioni parlando dei Germani: Paulatim autem, egli scrive (De B. G., I, 33), Germanos consuescere Rhenum transire et in Galliam magnam eorum multitudinem venire, populo Romano periculosum videbat, neque sibi homines feros ac barbaros temperaturus existimabat, quin cum omnem Galliam occupassent ut ante CIMBRI TEUTONIQUE FECISSENT, in Provinciam exirent atque inde in Italiam contenderent. Soggetto dei verbi exirent e contenderent sono i Germani: e dicendo che questi avrebbero potuto fare quello che molto tempo innanzi avevano fatto i Cimbri ed i Teutoni, cioè venire nella Provincia per di là passare in Italia, è manifesto che Cesare alludeva al viaggio già fatto dai secondi antecedentemente; altrimenti le parole di Cesare non avrebbero un senso corrispondente. Bisogna dunque ammettere che le parole cum iter in provinciam nostram atque Italiam facerent del luogo dianzi citato, perchè corrispondano a questo secondo, escludano affatto la distinzione proposta dall' Oberziner, e debbano alludere alla prima deliberazione fatta dai Cimbri e dai Teutoni di scendere nella Provincia per passare di là in Italia, non già all'ultima, quando si divisero gli uni dagli altri. Il passo invocato dal signor Oberziner a sostegno della sua sentenza, è adunque privo affatto di valore. E vedremo poi, come sia anche contradetto dallo stesso Plutarco.

« Nè dicasi i Cimbri essersi separati da' Teutoni nella Provincia, perchè li appunto voleva da prima Catulo impedire la loro marcia: perocchè per quanto si voglia sofisticare su tale punto di Plutarco, non s'arriverà mai a dimostrare che Catulo fosse per l'appunto nella Provincia, poichè ciò dall' istorico greco menomamente non risulti che anzi per valenti e chiari interpreti fu ciò altrimenti spiegato, intendendo i più d'essi, che furono i passaggi della catena centrale alpina (τὰς ὑπερβολὰς τῶν Αλπεων) quelli che furono abbandonati da Catulo, che sapeva già che pei Norici i Cimbri doveano scendere in Italia; perchè colà, fuori d'Italia, fra genti ostili forse ai Romani, e coll'esercito diviso in più parti, non avrebbe si facilmente potuto resistere, ond'egli si ritirò giù in Italia appresso il fume Adige (καταβὰς δ ̓ εὐθὺς, εἰς τὴν Ἰταλίαν, καὶ τὸν Ἀτισῶνα ποταμὸν λæßùv πрò aùтoũ.....) e li si diede ad aspettare il nemico. Il che è più chiaro del sole espresso da Plutarco stesso nelle parole già da noi una volta riferite: Κίμβροι μὲν ἔλαχον διὰ Νορικῶν ἄνωθεν ἐπὶ Κάτλον χωρεῖν, donde appare che i Cimbri prima d'incontrarsi con Catulo sapevano di dover passare pei Norici, e quindi egli non poteva essere nella Provincia.... Ciò però tanto chiaro non apparisce al De Vit (p. 358).... Infatti a chi esamina superficialmente la cosa, ammettendo anche che i Cimbri siano calati in Italia per la via del Brennero, potrebbe sembrar strano ch'essi abbian dovuto percorrere il territorio norico posto alla destra dell' Inn. Per poco però che attentamente si esamini la questione, apparirà anzi necessario il passaggio de' Cimbri pel Norico, imperocchè l'antichissima via, che, per la Rezia, dall' Italia metteva ad Augusta Vindelicorum passando per Rosenheim (Pons Oeni), da Wilten (Veldidena) a Kufstein.... entrava nel Norico colà dove il fiume Ziller mette nell'Inn. Così che resta provato non solo che di necessità i Cimbri dovessero passare pel Norico, ma ben anco che la via da loro tenuta dalla Gallia all' Inn fu quella per noi dianzi stabilita, poichè se percorso avessero quella che piace al Mommsen, non avrebbero avuto nulla a che fare coi Norici ».

Tale è l'ipotesi fabbricata dall'Oberziner, esposta colle sue stesse parole. Da essa, contrariamente alla sentenza da me difesa, risulta che i Cimbri si divisero dai Teutoni al confine de' Belgi e che soli questi entrarono nella Provincia, mentre i Cimbri di là, passato

il Reno, e attraversata la Baviera insieme coi Tigurini, si avviarono al Norico, dove sapevano di dover passare per incontrarsi con Catulo; di che egli ne trae che Catulo non poteva quindi essere nella Provincia, ma trovavasi invece accampato all'Adige in aspettazione di essi. Vediamo se tutto ciò risponda al testo di Plutarco, che parve a lui tanto chiaro, e al concetto che noi ci siamo formati di esso.

Nella mia dissertazione ho dimostrato che i Cimbri ed i Teutoni penetrarono insieme nelle Gallie (p. 220-226), che nell'anno di Roma 645 sconfissero nella Provincia il console Silano (p. 227 e seguenti), che nell' anno 647 i Tigurini loro alleati batterono e uccisero il console C. Cassio (p. 229 e segg.); che nel 648 i Cimbri sconfissero Scauro legato del console Cepione (p. 233 e segg.) e l'anno appresso, 649, il console L. Manlio e lo stesso Cepione, allora proconsole, impadronendosi persino dei due loro accampamenti e facendone il più grosso bottino (p. 238 e segg.).

Costernati i Romani da tante sconfitte, e temendo di vedersi in breve i Cimbri alle porte della città, cum metus adventantium Cimbrorum totam quateret civitatem, scrive Liciniano, non videro altro capitano più atto a guerreggiare que' barbari che il vincitor di Giugurta, Caio Mario, e questo elessero a console per la seconda volta l'anno 650 di Roma (p. 214 e segg.).

Premesse queste notizie, da me raccolte dalle testimonianze di varî scrittori, e che non furono peculiarmente descritte ma solo brevemente accennate da Plutarco, abbandoniamo ora ogni altro scrittore, e pigliamo a guida questo solo, nella vita, ch'egli scrisse di Mario, cercando di esporlo nel modo più chiaro possibile.

Narra Plutarco, che Mario, dopo il suo trionfo alle calende di gennaio del detto anno 650, si avviò per tempo alla volta delle Gallie, e con nuove truppe penetrò nella Narbonese, che noi quindi innanzi chiameremo col nome di Provincia, e si diede tantosto a riordinare l'esercito, addestrandolo nella pugna contro i nemici. Se non che questi, mutato in quel frattempo consiglio, anzichè marciare sopra Roma, come avevano stabilito (PLUTH., Mar., XI, S10 e 11), passarono i Pirenei, e si diedero a devastare la Spagna (ibid., XIV, 1); sicchè Mario ebbe così tutto il tempo per agguerrirsi contro di essi. E siccome questi in quell'anno non furono di

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