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Ritornati, o discortese !

Mai arèti habitaculo,

chè sempre andar cercando

ve converrà con baculo

et vostra vita straciando,

et qua et là andar dormando
per le silve et per le ciese:
Ritornati, o discortese !

Sei lettere inedite di Bianca Laura Saibante Vannetti: 1758-86 (per le Nozze Saibante-Graziani). Venezia, tip. Ferrari. — 8°, pp. 29. Le prime cinque sono indirizzate a Giovanni Battista Chiaramonti bresciano; la sesta all'abate Eriprando Giuliari: in tutte, più assai della donna letterata e della scrittrice di lodate dissertazioni, a noi piace di vedere una buona moglie e una madre affettuosissima, che, vedovata ancor giovine, si consacrò interamente all' educazione del figliuolo. Di lui, del suo «< picciol Clementino », son piene queste lettere: già nella seconda, del luglio '59, ella ce lo presenta non anche giunto al primo lustro nè orfano; nella terza dell'ottobre '68 (Giuseppe Valeriano allora era morto da quattr' anni) Laura si mostra tutta intenta a tirar su il giovinetto quattordicenne, «< il quale - ella scrive - a misura dell'età va crescendo colle massime dell'ottimo suo Padre »>, e s' applica agli studi con assai diligenza, tanto che « anzi bisogna sgridarlo della troppa assiduità ». Pochi giorni dopo, nella lettera quarta, si rallegra della inclinazione che Clementino aveva (e conservò anche più tardi) per la pittura; «< ma non pensate male! » soggiunge al Chiaramonti, «< non sarà solo pittore, ma bensì giovane di lettere, come a voi piace; poichè lasciato il pennello ritorna alla penna, e non getta il tempo, nè manco vuol farla da damerino, cosicchè per quanto gli dica che ci vuol garbo colle signore, non si sente di farle di più che una stentatissima riverenza, e poi le pianta, come fossero cipolle. Vedete che genio curioso che è cotesto! ». E sempre per lui, malato nel gennaio dell' 86, trepida nell' ultima lettera al Giuliari, mentre nella quinta, del '72, raccomanda al Chiaramonti, che già avea pubblicato la Vita del Cav. Giuseppe Valeriano Vannetti (Brescia, 1766), una operetta dove questi avea avuto parte.

Nè più gentile nè più opportuno dono nuziale poteva offrire TOMMASO LUCIANI a una sposa novella ch' esce di casa Saibante.

PUBBLICAZIONI PERIODICHE

REGIONE VENETA,

ARCHEOGRAFO TRIESTINO, nuova serie, vol. XI, fasc. 1-2: B. BENUSSI, L'Istria sino ad Augusto: indice analitico [cfr. Archivio, III, 148]. - A. MARSICH, Regesto delle pergamene conservate nell' Archivio del reverendissimo Capitolo della cattedrale di Trieste [Cont., dal n.o 395, a. 1511, 3 gennaio, al n.o 446, a. 1586, 3 maggio. Notiamo, pubblicata per intero al n.o 441, la bolla del 22 agosto 1567, con la quale Pio V annunzia al Capitolo la elezione di Andrea Rapicio a vescovo di Trieste].-C. DE FRANCESCHI, Studio critico sull'istrumento della pretesa reambulazione di confini del 5 maggio 1325, ind. VIII, tra il Patriarca di Aquileia Raimondo della Torre, col mezzo del suo marchese d'Istria Guglielmo di Cividale, il conte Alberto di Gorizia ed Istria, ed i Veneziani [Curiosa istoria di una falsificazione. Del lunghissimo e strano documento sovraindicato, redatto originariamente in tre lingue, slava, latina e tedesca, non pervenne a noi nè un esemplare archetipo o contemporaneo, nè la copia autentica che ne sarebbe stata cavata nel 1502, bensì alcuni più recenti e parziali apografi di quest'ultima: due col testo slavo in caratteri glagolitici, due col testo latino, e finalmente tre traduzioni italiane, la più antica delle quali, fatta nel 1548, viene pubblicata dal De Fr. in appendice a questo studio. Pur la singolare fortuna di un atto così importante avrebbe dovuto dar sospetto di falsità; e infatti, fin dal secolo scorso, il nostro G. R. Carli, esaminata una delle copie latine, la giudicò non altro che un centone di atti di confinazione di epoche diverse. Tuttavia, tornato in luce nel 1850 uno dei testi slavi, fu subito accolto con gran favore, e come scrittura autentica, dagli storici della Slavia meridionale, e pubblicato due volte fra i loro Monumenti. Il Kandler, incredulo di una redazione trilingue, ammise però l'esistenza di un originale latino, ma non ne avendo potuto trovar copia, pubblicò nel Codice diplomatico istriano una delle traduzioni italiane fatte nel secolo scorso; e corretta la data, troppo evidentemente erronea, riferi l'atto al 1275. Restavano pur sempre viziate le indicazioni cronologiche del mese e del giorno, ma il Ljubich trovò modo di raddrizzare anche queste ; e con gli altri studiosi slavi o slavo-tedeschi, come il Kukulievich e lo Czörnig, continuò a dichiarare tutto genuino, e stato scritto in tre lingue lo strumento, che sarebbe esempio unico e affatto nuovo per quell'età. Ora il De Fr. impugna valorosamente l'autenticità di codesta scrittura, dimostrando che la data, o sia il 1325, o sia il 1275, non può convenire affatto con quelle certissime che da fonti più pure abbiamo intorno agli attori e ai fatti ricordati nel documento; che la supposta reambulazione, che avrebbe inteso a meglio determinare i confini fra i possedimenti del Conte di Gorizia, e quelli del

Patriarca e dei Veneziani, mentre per certa parte è minuziosissima, per altra sarebbe affatto incompleta; ch'essa è inverosimile, perchè contrasta con la politica del Conte d'Istria e della Repubblica, signorie desiderose entrambe di allargare, non di delimitare il proprio territorio; che da ultimo tutto il racconto di quel viaggio di ricognizione, fatto con insolita pompa di cavalieri e di pedoni, là dove a consimili atti vediamo bastare sempre un paio di commissari, ha l'impronta evidente di « un'impostura escogitata assai più tardi a fine di valersene nelle incessanti questioni di confine che si agitarono tra i Veneti ed i principi Austriaci ». I quali, ricorda il De Fr., allo stesso mezzo ebbero ricorso anche nel 1457, producendo ai commissari della Repubblica «<un istrumento falso, con cui pretendevano di giustificare le usurpazioni di terreni a danno dei Montonesi ». Altre prove, se pur bisognassero, oltre a quelle accennate di sopra, aggiunge il ch. A. ad accertare sempre più la goffa contraffazione, e le ricava da una postilla o memoria, che il notaio prete Niccolò pievano di Gollagorizza (persona realmente esistita sul principio del trecento) avrebbe scritto dappiè dell'originale da lui rogato; avverte ancora il fatto stranissimo che di una carta così importante ai Veneziani, non venisse comunicata loro copia autentica; mentre nè delle due che si dicono rilasciate ai Conti di Gorizia è traccia nel loro Archivio; nè della terza che sarebbe stata consegnata al Patriarca è ricordo nel Thesaurus Ecclesiae Aquilejensis, cioè nel noto catalogo di tutti gli strumenti riguardanti il patriarcato, che il cancelliere Odorico de' Susanni compilò nel 1367; che finalmente «< di copie tedes che non s'ebbe mai sentore ». Conclude quindi il bello studio cercando l'epo ca e l'occasione di questo falso, che risale alla prima metà del cinquecento, certo a un originale slavo, scritto per vie meglio camuffare l'inganno in caratteri glagolitici, e composto assai probabilmente da un prete a istanza di qualche zelante capitano della contea di Pisino, del cui archivio il contraffattore, uomo di poca levatura, si giovò, forse, ricavandone e raffazzonando gli antichi atti di confinazione ch'egli cita. Ne ricorda infatti quasi una ventina, degli anni 1025-1271; che se, come a noi non sembra davvero probabile in un falsario, li avesse adoperati onestamente, il centone potrebbe forse avere ancora qualche importanza, essendo pur troppo andata dispersa nei primi decenni di questo secolo tutta la parte antica dell'archivio pisinese. Ad ogni modo esso resta, così per il contenuto come per la forma, testimonianza non dubbia di un episodio di quella lotta che il clero slavo combatte tuttavia nell'interno dell' Istria contro l'elemento italiano indigeno, con poca fortuna, e con onestà non maggiore].-P. PERVANOGLÙ, Della origine del nome « Italia ». G. VESNAVER, Notizie storiche del castello di Portole nell' Istria [Cont. e fine. Utile appendice alla sua buona monografia, il V. pubblica lo statuto volgare di Portole, compilato nel 1420 0 21, ma pervenuto a noi in copia del 1533, e questa manchevole di alcune carte, con le quali andarono perdute 28 delle 148 rubriche onde constava in origine quel testo. Chiude il lavoro una pianta topografica del comune di Portole]. — L. MORteani, Notizie storiche della città di Pirano [Detto dell'origine, che par celtica, del nome

e degli abitanti di Pirano, di poche iscrizioni e di altre tracce dell'epoca romana trovate in quell'agro, e delle prime memorie del medio evo che la gentile cittaduzza ha comuni con altre della costa istriana, l'A. tocca, forse troppo brevemente, della tradizione, sempre importante foss'ella anche tutta leggendaria, della battaglia di Salvore, e pubblica, ricavandola dall'archivio capitolare di Pirano, la bolla con la quale Pio II confermava, assegnando un annuale più comodo, ma senza accennar l'origine del benefizio, l'indulgenza già concessa da Alessandro III ai visitatori della chiesa di S. Giovanni « de la Ponta de Salbora ». Avvicinandosi quindi a tempi meno oscuri, il M. prosegue l'incremento delle libertà comunali e delle industrie in Pirano, e le sue prime relazioni coi Marchesi d'Istria, col Patriarca e coi Veneziani. Nel descriver quella varia vicenda, che fini poi col predominio della Repubblica, l'A., se non tanto ostile quanto in un altro suo studio sull' Istria (cfr. Archivio, II, 264), non si mostra certo troppo tenero della signoria di S. Marco; riconosce però, che col principiare del governo veneto Pirano « guadagnò molto nella coltura e nell'ordinamento interno, regolato dagli statuti », compilati nel 1274; e con la dedizione definitiva della città ai Veneziani (27 gennaio 1283) chiude appunto la prima parte del suo lavoro]. · E. FRAUER, Sugli aborigeni dell'Istria, gl'Istri ed i loro vicini.- Relazione dell'annata LXXIV della Società di Minerva. A. HORTIS, Necrologia, a Carlo de' Combi.

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Fasc. 3-4: L. MORTEANI, Notizie storiche della città di Pirano [Continua la diligente monografia, narrando i lunghi litigi che le solite gelosie di confine accesero fra il Comune piranese ed i vicini di Buje e d'Isola; il sempre crescente sviluppo del commercio, che Venezia favori con la costruzione di un vasto porto (1320) e regolò con una legge sul mercato del sale (1375). Stretti così da vincoli sempre più affettuosi alla Signoria, i fedeli Piranesi le danno in tutte le sue guerre utile tributo di buoni soldati, il cui valore vien lodato in parecchie ducali che si conservano nell'archivio del Comune; Venezia dal canto suo li favorisce aggiudicando loro il possesso di Castelvenere, conteso dai Bujesi (1404); e concedendo frequenti licenze speciali d'importazione e d'esportazione, che mitigavano il divieto sul commercio del sale per via di terra, fatto più rigoroso dopo l'acquisto del Patriarcato (1421). Continuano per tutto il sec. XV le lotte con Isola e Buje; crescono le rivalità con Trieste, che tentava d'impedire il commercio fra le vicine città dell'Istria e la Carniola per avviarlo tutto al proprio porto; ma che, costretta a forza dalla Repubblica veneta (1463), dovette riaprire le strade ai mussolati piranesi, che portavano sale, vino ed olio. Dopo la caduta di Costantinopoli, Pirano, paventando le incursioni turchesche, si munisce, e cinge di mura i suoi fianchi dalla parte di terra (1470-1481); mentre il governo veneto favoreggia gli esercizi militari, le gare del « trazer al palio de schiopetto », nelle quali si fortificavano i sudditi fedeli. Durante la guerra contro Massimiliano (1507-8) il Comune dà valido aiuto alla Repubblica, che lo ricompensa col castelletto di Momiano (1510) desiderato dai Piranesi. Ottimi marinai, essi combattono sulle galere venete contro Turchi ed Uscocchi, e partecipano alla

battaglia di Lepanto; ma non sanno invece adattarsi alle cernede, alla coscrizione regolare entrata in uso col sec. XVI, e fanno però frequenti istanze alla Signoria perchè voglia esonerarli da quella servitù, che toglieva all' industria del sale e agli altri utili lavori troppe braccia, già destre al remo e alle armi, e quindi sempre pronte in caso di bisogno. In una di queste domande troviamo descritta assai fedelmente quella laboriosa popolazione marinaresca: «< Pirano, detratti li cittadini nobili, sono tutti ridotti a quattro professioni ed esercitii: li primi sono marinari, et buonissimi, quali di continuo attendono alla navigatione con barche et navilii grossi; li secondi sono pescatori, li quali essendo ogni giorno in mare non riescono inferiori ai primi; gli altri sono calafai, che attendono a far barche et vascelli non solo per Pirano, ma per tutta l'Istria et Dalmatia; et gli altri sono salinari, li quali attendono anche al governo delle vigne et olivari, et per andar alli suoi esercitii (essendo massime le saline discoste miglia cinque), per condur li sali alli magazeni del Prencipe et per portar le loro entrate a casa, tutto il tempo dell anno sono in barca, et adoperano et vela et remi secondo l'occasione; anzi le donne istesse sono pratiche di questo esercitio, sapendo quasi tutte vogare, in maniera che vanno loro sole senza alcuno huomo in barca, sì che si possono dir tutte marinari ». E però, concludevano garbatamente in un'altra di quelle petizioni: «< chi volesse istituir cernede in detto loco bisognerebbe sapesse formar un popolo, che in un istante facesse l'uffizio di salinaro, de marinaro, de calafà, de pescatore et de soldato! » ]. — C. GREGORUTTI, Iscrizioni inedite aquileiesi, istriane e triestine [Proseguendo la notevole raccolta, il Gr. comunica ed illustra 52 iscrizioni trovate per la massima parte negli scavi fatti fra l'83 e l'85 lungo la via Appia presso Aquileia, dove tornò in luce una necropoli abbastanza importante, che però sfortunatamente fu devastata e dispersa per incuria delle genti del luogo. Degna di nota ci par la digressione a proposito di un veterano della XV legione Apollinare, cui appartenevano di regola i Triestini, e quindi assai probabilmente anche il milite Sergio, loro concittadino, e poi santo protettore, che lasciò a Trieste lo stemma dell'alabarda, ossia la tricuspide, la quale coronava i vessilli romani. Da Traiano in poi la legione XV ebbe stanza in Cappadocia; però il milite e santo triestino sarebbe da identificare col « san Sergio che in un tempo non bene determinato subi il martirio in Cesarea di Cappadocia, del quale la Chiesa festeggia il natalizio nel giorno 24 di febbraio »; e non, come vorrebbe una tradizione triestina, col santo omonimo, patrizio romano, che insieme con Bacco mori per la fede nella Siria Eufratesia, durante la generale persecuzione di Diocleziano]. - G. VASSILICH, Due tributi delle isole del Quarnero [Arbe, Ossero e Veglia con le altre città della Dalmazia marittima furono costrette fra 1'875 e l'879 a pagare un annuo censo al Duca dei Croati; più tardi invece, nel 1018, si obbligarono a offrire un tributo al doge Ottone Orseolo. L'A. indaga il differente carattere e le ragioni dei due fatti, dai quali trae occasione ad illustrare i rapporti delle città italiane della Dalmazia con gli Slavi e con la Repubblica veneta nei secoli IX, X e XI]. – P. Pervanoglu, Cor

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