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Se il fanciullo in tanta festa
A la madre sua gioconda
Chiederà che gioia è questa ?
È risorto gli risponda

Quei che disse un di: lasciate

I fanciulli a me venir.

Per fortuna gli mancò la rima per un verso. Qualcuno di quelli che aspiran sempre l'affetto languirà forse al ricordo del sinite parvulos: ma questo non era luogo da fattarelli.

Sia frugal del ricco il pasto:
Ogni mensa abbia i suoi doni;
E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni,
Scorra amico all'umil tetto;
Faccia il desco poveretto
Più ridente oggi apparir.
Lunge il grido e la tempesta
De' tripudi inverecondi :
L'allegrezza non è questa
Di che i giusti son giocondi;
Ma pacata in suo contegno,
Ma celeste, come segno

Della gioia che verrà.

Qui non c'è che da rispettare. A pena vien voglia di notare, per non aver troppo apparenza di fare il santocchio, che celeste è indeterminato se tanto è il segno, che resterà a ciò che ha da venire?

Oh beati! a lor più bello

Spunta il sol de' giorni santi:
Ma che fia di chi rubello
Torse, ahi stolto! i passi erranti
Nel sentier che a morte guida?
Nel Signor chi si confida

Col Signor risorgerà.

Di quest'ultima strofe si farebbe volentieri a meno. E come è di certo la meno felice dell'inno, cosi ella soffri più mutamenti. Nell'autografo e nella prima edizione il secondo verso finiva con giorni sacri, e poi

32 G. CARDUCCI

IL MANZONI E S. PAOLINO D'AQUILEIA

Ma che fia di chi rubello

Torse, ahi stolto! i passi alacri

Nella strada dell'errore?

Chi s'affida nel Signore

Col Signor risorgerà.

In edizioni posteriori il poeta corresse come si legge ora. Anche, nell'autografo al quarto verso sta scritto Mosse, aggiunto poi sopra linea Torse: al verso quinto, nella riga sta scritto ne l'avvolta e in margine ne la strada: in edizioni posteriori, mutati i cinque versi, si legge nella via; nell'edizione che ebbe le ultime cure del poeta, nel sentier. E l'ultima correzione è, forse, la men propria, perchè sentiero nell'uso degli scrittori e nel comune linguaggio significa via angusta, mentre «spaziosa è la via che mena alla perdizione >> (Math., VII, 13): così almeno pare al sig. Venturi. Ma inutile sottilizzare: la poesia è finita co' due versi,

Oh beati a lor più bello

Spunta il sol de' giorni santi.

21 marzo 1884.

GIOSUE CARDucci.

ANTICHE PERGAMENE

DELL'ABAZIA DI S. LORENZO IN TRENTO

L'arciprete di Santa Maria di Trento, monsignor G. B. Zanella, pubblicava nel 1879 una monografia su quella chiesa '), lavoro che quantunque scritto più con lo zelo del pastore il quale teme per il suo gregge il contagio della lue liberalesca, di quello che con lo spirito critico ed indagatore dello storico, mi piacerebbe vedere imitato in ogni parrocchia. Nella storia delle chiese non solo è consacrata quasi tutta la storia dell'arte, ma è altresi molta parte di quella del popolo. Nei comuni medievali la chiesa e il palazzo pubblico sono i due edifizi che compendiano la vita religiosa e politica, gli interessi morali e civili delle popolazioni, alle quali la fede dava l'eroismo nelle pugne, e il sollievo e la forza nei dolori e nei patimenti, allora assai maggiori che ai di nostri, checchè ne dicano i lodatori del tempo andato.

A que' tempi in cui, tranne rare eccezioni, nelle libere città infuriavano di frequente le parti che davano buon giuoco ai tirannelli, mentre nelle campagne l'arbitrio dei potenti regnava sovrano e senza limiti materiali di sorta, il popolo trovava soltanto nella religione il freno alla prepotenza dei facinorosi, il conforto nell'op

1) Santa Maria di Trento: Cenni storici, Trento, G. B. Monauni, 1879, in 4o. Mons. Zanella, che mori in sul finire del 1883 di 75 anni, fu sopra tutto uomo di cuore generoso e caritatevole; fondò tra i primi in Italia un asilo infantile, che egli sostenne per lunghi anni con largizioni limosinate; ebbe forte ingegno e varia coltura, e raccolse una bella suppellettile di antichità patrie che cedette al museo tridentino. Di lui si hanno vari scritti di cose sacre. Nel '48 abbracciò con fervore le idee patriottiche; ma poi seguì con zelo forse eccedente quelli ch'ei stimava doveri del prete.

Archivio storico per Trieste, l'Istria e il Trentino

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pressione che gli pesava sopra. La fede in una giustizia d'oltre tomba, che avrebbe raggiunto il colpevole e premiato il paziente, era il freno e il conforto; e di questa convinzione e di queste speranze vero simbolo il tempio, sacro alla religione. Il popolo lo voleva grande e bello, e tale lo incominciava, lasciando alle future generazioni la cura di compiere con paziente lavoro questo monumento dei suoi dolori e delle sue aspirazioni, ove con mistici riti vedeva consacrati i fatti più solenni della patria e i più notevoli della sua vita privata.

Ogni giorno che passa fa sparire o trasforma qualcuno di quei monumenti: i comodi della civiltà e i ristauri, questi moderni Vandali, vanno abbattendo o falsificando i vecchi edifizi. Fa dunque opera santa chi si studia di conservarne i resti, di raccoglierne i documenti, di rintracciarne le vicende, per insignificanti che sembrino, giacchè ogni materiale storico può avere la sua importanza nello studio fisiologico delle società passate, supremo oggetto della storia vera.

Che se parte importantissima nella vita medievale è la storia. delle chiese, non lo è meno quella dei conventi, onde irradiò, specialmente in certi tempi e in certi paesi, il primo lume di civiltà e di coltura, ma dove altresi furon sepolte pietà immense e immense scelleratezze.

Un po' al mezzodi della stazione della strada ferrata di Trento, all'occidente dello spazio che davanti ad essa si va ora trasformando nel più ameno passeggio della gentile città, alla riva destra di quello che già fu l'alveo dell'Adige, sorge un complesso di fabbricati, a ridosso gli uni degli altri, di aspetto forse pittoresco, ma più che altro rovinoso, nel centro dei quali s'erge una chiesa con elegante campanile lombardesco e con abside marmorea di stile romanzo. È il vecchio monastero di S. Lorenzo, forse il più antico della città del Concilio, certo uno dei più cospicui. Avendo trovati alcuni documenti in parte inediti e in parte ignoti ad esso spettanti, fra le pergamene dell'abazia di Vallalta nel Bergamasco, da cui dipendeva il nostro cenobio, conservate nell'Archivio di Stato in Venezia, credo rendere servigio agli studiosi della storia del mio paese, facendoli, col gentile consenso della Di

rezione di quell'istituto, di pubblica ragione, tanto più che quelli atti porgono notizie per lo meno assai poco conosciute sul convento medesimo. È vero che alcuno di essi fu già posto in luce, ma, come dirò più sotto, per gli eruditi trentini è come se non lo fosse, onde non istimo ozioso il riprodurli tutti con lezione anco più fedele.

Monsignor Zanella (e tutti gli altri scrittori trentini che ne parlarono) copiando il Bonelli, e questi a sua volta seguitando frà Bartolomeo da Trento, dicono che il monastero primitivo albergò delle monache. Frà Bartolomeo scriveva nel secolo XIII e abitava in San Lorenzo; pure, se stiamo ai due primi nostri documenti, egli sbagliò. Le parole: quod quidem monasterium ad monasticam vitam in ibi regulariter tenendam a primis edificatoribus constructum est, che leggiamo nel doc. I, e quelle del II: quippe cum diversi ordinis HOMINES illic prius conversarentur, vorrebbero dire che i primi edificatori ed abitatori del pio luogo furono uomini e non donne; potrebbero però essere stati uomini e donne insieme, non essendo, come si sa, raro il trovare in que' tempi monasteri promiscui.

Comunque sia, il primo documento che offro ai lettori è l'atto di traslazione del convento di S. Lorenzo, fatta nel luglio 1146 dal vescovo Altemanno all'abate Oprando, assoggettando i monaci presenti e futuri alla badia di Vallalta nel Bergamasco. È curioso che niuno degli scrittori trentini abbia conosciuto quella carta; nè il Bonelli, che l'avrebbe certo pubblicata per la sua grande importanza, nè altri; eppure fu messa in luce dal Lupi (Codex diplomat. Civitatis et Ecclesiae bergomatis, II, 1071). A scusa del Bonelli parmi però di poter dire ch'egli usò dei soli documenti offertigli dagli archivi di Trento, nei quali il nostro non doveva trovarsi, se il medesimo Lupi scrive (col. 1073): « Gratas profecto et usui Tridentinis eruditis futuras auguror hanc constitutionem et consequentes chartas, in quibus de hoc Monasterio agitur. Eiusdem enim Tridenti nulla superest memoria, ut inde opera excellentissimi et praestantissimi viri Comitis Caroli de Firmian, in Longobardia Imperatricis Mariae Theresiae Austriacae Plenipotentiarii damno publico fato functi, certior factus fui ».

In quell'atto il vescovo Altemanno fa sapere di aver concesso

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