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si trovasse una copia del nostro documento, essendo fuor di dubbio che della sentenza vescovile che io presento, furono tirate almeno tre copie, una per il vescovo e due per le parti questionanti. Senonchè il diligentissimo frate Bonelli, che scrisse due secoli dopo il Pincio e che come lui e anzi meglio di lui investigò e frugò nelle raccolte vescovili, non fa parola del nostro documento, così che pare non lo abbia veduto. Questo ci autorizza in qualche modo a sospettare che il Pincio abbia tratta la notizia di quel fatto o da qualche regesto ora scomparso, o da qualche cronista a noi oggi ignoto, o forse anche dalla tradizione stessa.

Ma, comunque stia la cosa, la narrazione pinciana tutta infiorata di retoricume ed in molte parti inesatta, mostra quanto bene gli storiografi al servizio dei principi nel cinquecento sapessero valersi delle fonti per scrivere in pro dei loro signori. Lo scrittore cortigiano magnifica nella persona dell'incolto vescovo Eberardo, che, a quanto pare, non sapeva neppur scrivere il proprio nome, l'equità e la grandezza dei principi trentini, inventando addirittura i particolari come il discorso del giudice Enrico, e la descrizione della lotta. Vera imitazione liviana, se non fosse ingiusto il comparare le volgari creazioni del Pincio con quelle del grande storico patavino.

Invece il nostro documento presenta non solo un vero e reale interesse storico, ma, fatta ragione della sua antichità, è altresì importante per le forme di nomi locali e personali che esso ci porge. Non faccio parola della sintassi e dell'ortografia trascuratissime, nè delle particolarità grafiche e grammaticali come ic per hic, oc per hoc, scritta per scripta, illut per illud, quoram per coram, de cetore per de cetero; nè delle forme falseria, per falsitas, e cinglum (volgare çengio), che tradiscono un rozzo latino molto spesso ritraente forme e tendenze fonetiche della parlata volgare. Pur lasciando tutto questo, vanno seriamente considerate le forme toponomastiche, delle quali molte rispondono perfettamente alle odierne denominazioni locali dialettali.

Il de Bleze, che risponde al dialettale Blez odierno, richiamerebbe ad un nominativo Blezis, che mi è nuovo; conosco solo le forme Blegium, Blezum, Blezium, Blecium, tutte in documenti del sec. XIII. Il Blerum del 1208 (Codex Wanghianus, pag. 170) va

accettato con le più grandi riserve per la crassa inesperienza paleografica del Kink. Il nostro documento presenta adunque la più antica memoria medievale del nome Bleggio, ed insieme una leggera varietà di esso in confronto di tutte le altre note. Osservo per incidenza che di codesto nome locale sembra si debba rintracciare l'origine in età assai remota, probabilmente da un personale, forse gallico, se con esso può raffrontarsi il Sex. Blegina di epigrafe romana trovata a Bivedo (villaggio della parrocchia del Bleggio) e da me edita nell' Arch. Epigr. Mittheilungen aus Oesterreich (1881),

pag. 117.

Egualmente l'in Dalgone presuppone un nominativo Dalgonis, mentre la forma costante è Dalgonum, nome di monte, oggidì pure Dalgone, probabilmente di origine gallica.

Boblinum attualmente si chiama Monte Movlina. Siglanum per Seiano è una nuova forma che va aggiunta alle tante varietà medievali di Scilanum, Seanum, Seianum, Selanum e Sillanum.

Il Ribertus de Gagli non credo sia altro che un abitatore di Gaglio (dial. Gai), frazione di poche case del comune del Bleggio. Nome locale che si presenta nelle fonti medievali in due forme rispondenti appunto al dialettale Gai, ed al letterario Gaglio. La più costante e comune è Gaium, Gayium, che ritroviamo in una serie di carte del 1200; ma trovo anche una Villa Caiaii [sic] de Plebe Nomassi, nel Franco-Ippoliti, Mon. Eccl. Trid., ad a. 1309, n. 59 (ms. ined.). È vero che se tale villa fosse il nostro Gaglio, non si vedrebbe motivo perchè sia posta nella Pieve di Lomaso anzichè in quella del Bleggio. Ritengo però che codesta determinazione si debba attribuire a errore del notaio; io conosco minutamente tutte le ville e le frazioni tanto odierne che antiche (e di parecchie distrutte si ha memoria in documenti) della pieve di Lomaso, ma non vi ho riscontrato traccia di siffatto nome. Perciò devo ritenere semplicemente errata l'attribuzione di quella villa all'una anzichè all'altra delle due parrocchie.

È romana l'origine di questo nome? Forse si. Mi è noto un Gallio nei sette comuni vicentini, che parrebbe sia la stessa forma del nostro Gaglio, volgarmente Gai, il quale in tale caso deriverebbe da una villa (praedium, ecc.) Gallii. E nell'alta Italia esistono pure sei villaggi col nome Gaj eguali al nostro, per cui potrebbe an

che risalire ad una Villa vel praedium Gaii, sebbene ciò non sia in tutto conforme alle buone regole latine per la formazione dei nomi locali; ma in appoggio di questa versione potrei citare il Gaiano trentino ed i quattro altri Gaiano della penisola, derivati di certo da una Villa Gaiana. Tanto che pel nostro nome giudicariese si potrà richiamarsi ad una l'illa Gai = Gaiano, come anche ad una Villa Gallii = Gallio = Galliano.

Il Ciuzanum mi torna alquanto enigmatico; pensai per un istante ad una forma abbreviata per Civizanum, ma la prima lezione è indubbia. Nelle Giudicarie occorre un Zuzȧ o Zuzado, nei doc. Zuzadum. Si può identificarlo con Ciuzanum?

Il nostro documento ci assicura che già nel 1155, nella parlata volgare, Trentum era il nome della città. Forma derivata dal sermo plebeius vel rusticus dell'età romana, o al più dei primissimi secoli del medio evo. In prova di che possiamo citare il Trinctum dell'Anonimo Ravennate 1). — Cosi Stenegum è la forma latinizzata dell'odierno Steneg, che trovi in bocca ai Giudicariesi per Stenico.

Preore nella forma di Prevoris per Prevorum, si avvicina al Pruvur e Pruor in documento del 1189 nel Cod. Wanghianus. Più tardi è regolare la forma Preorum e Prevorium.

Sono regolari, nè presentano alcuna difficoltà, il Bondum e Banalum; il Randina è una variazione nuova del tipo medievale costante Randena, oggidi ridotto in Rendena. Mi sono ignoti il Basaga (?) ed il Senaxe.

Importanti le denominazioni delle piccole villette o frazioni Caras, Tignaronis (per Tignaronum), Vergundum, Bui, della cui esistenza in tanto remota età fa fede la nostra carta.

Caras non si può intendere altrimenti che per l'odierno Cares, nome di origine gallica, la più antica menzione del quale mi occorse trovare in due pergamene inedite del 1489 e 1509, ambedue colla denominazione Villa Carexi.

Tignaronis mi è pur noto per due altre pergamene di età assai più tarda: Tignaronum in carta del 1488, Tegnaronum in altra del 1509; oggidi è Tignerone.

Vergundum dev'essere certo la villetta di Vergonzo, che ho tro

1) ANON. RAVEN., Cosmographia, ed. PINDER e PARTHEY, IV, 30.

vato pure nelle pergamene or ora citate: Villa Vergogni (1489 e 1509). A bella prima apparisce nome oscuro, ma dove si raffronti coi due Bergonzi (in provincia di Bergamo e d'Alessandria) e col Vergonzana (Crema), diviene patente la sua origine gallica, per la affinità con le radici celtiche berg e brig.

Bui sarebbe certo riuscito irreperibile per chiunque non avesse una grande pratica topografica del comune del Bleggio. Non esito a riconoscere sotto una tale denominazione la piccola curazia di Bivedo, che nel dialetto giudicariese risponde per lo appunto alla forma antica, pronunziandosi Buě. In pergamena inedita del 1417 è detto Bivedum vallis Iudicariae, in altra del 1489 Biveum, e Villa Biveij.

Ho presentato questo spoglio di forme toponomastiche, perchè conoscendo esattamente la regione del Bleggio non m'era difficile il determinare con esattezza le località, tenendo conto sovra tutto delle forme dialettali ancor vive, ciò che non sarebbe forse riuscito in sulle prime ad uno non pratico del paese. Ed ora ecco senz'altro il testo della sentenza. È scritta sopra una pergamena alta cent. 43, larga cent. 24, in linee 38.

In nomine domini in secunda feria; que est sexto die innejunte mense iunii, in iudicaria in plebe de bleze in | dalgone super monte boblini; in presencia episcopi | ebrardi & aliorum bonorum hominum quorum nomina ic sunt scritta; | uidelicet ieconias gerloco iohannes presbiter iordanus diaconus de brantonico odelricus filius uidarius condradus de siglano odelricus filius albertus de arco uuecili condradus de siglano | gunpo de madruzo:, ribertus de gagli uuidus euerardus & | bertrame girardus triuixanus endricus odelricus de ciuzano | ambroxo de trento uberto: alberto, bozo de stenego baldo oto | senico uuiberto & uberto, ribaldo de bondo, barta, oto, uiuiano | de preuore, banalo, iohannes de senasxe, zuco, andrea, euerardo & alii plures; homines de bleze querimonia fecerunt episcopo ex omnibus de randina qui ui & sine racione eundem montem eis tenebant quem suum esse apelabant; facta querimonia | episcopus illis precepit ut ex utraque parte consignaret sua loca | consignatis locis endricus iudex qui aderat illut litigium qui inter | illos erat per pugna dicerni iudicabat; facta pugna inter duos | pugnatores: deus iustus iudex qui decernit ueritate a falseria (?) | per pugnatore de bleze qui uictor extitit montem hominibus de bleze | iure suum esse decreuit quoram omnibus astantibus audientibus & uidentibus hoc iudicium esse uerum: episcopus omnibus de ran dina precepit finem facere: per se & suis heredibus hominibus de | bleze, suis heredibus de eodem monte sub pena. c. marca|rum qui si ipsi de cetore amplius eos molestarent c marca | & in quiete manere deberent; factum est hoc anno | anno

a natiuitate milesimo. C. quinquagesimo v; indictione | 1; Signum † suprascripto episcopo qui oc breve fieri iusit | Signum manibus carbogno de pao, uualtero & luduigo & | rodegero & andrea, teupo & adelberto de caras & adelberto | filio uilano & euerdo de uergundi, iohannes de bui & | oto & adelbertino de tignerone teste.

terminum cruce de matone per medio costa de sablone | per medio isto terminum supra casa uberto de basaga (?) pro uecaso (?)....... orta | & in cinglo de brugnolo. allia cruce. I

EGO Odelricvs notarius qui afui & oc prelium uidi, a..... | ogatus (?) iusu episcopi, alliorum bonorum hominum hoc breve | scripsi & conplev];

II.

Gli anni che corrono dal 1407 al 1410 sono dei più oscuri ma insieme anche dei più fortunosi ed importanti nella storia politica di Trento. È l'epoca delle lotte fra il vescovo Giorgio di Trento, Federico IV dalle tasche vuote, arciduca d'Austria e conte del Tirolo, e Rodolfo Bellenzano, ricco patrizio trentino, capo del partito nazionale popolare; lotte che con varie interruzioni durarono per tre anni continui, e che noi conosciamo troppo vagamente per la scarsezza di testimonianze contemporanee, e per la inesattezza di quelle tramandateci dai meno lontani cronisti.

Io non tenterò di far qui, neppure brevemente, la storia di quel periodo; mi basti rammentare come gli elementi che in quella lotta campeggiano sono tre diversi ed opposti. Da una parte il vescovo, che maltrattando il popolo col secondare in tutto e per tutto le inoneste ambizioni e le mire prepotenti dei favoriti che seco aveva condotti dall'Austria, ove era nato, provoca alla fine una rivolta popolare che gli è causa d'una sequela non interrotta di disgusti e guai gravissimi. Dall'altra il conte del Tirolo, che per la tradizionale pretesa di avvocazia sulla chiesa trentina, e per la brama di allargare i suoi dominî, trae profitto dei torbidi del vescovado per renderlo da protetto suddito. Finalmente il Bellenzano che, appoggiandosi al partito popolare, mira a liberare il Comune dalla signoria del vescovo e dall'ingerenza del conte del Tirolo, è il rappresentante del movimento nazionale democratico. Per ultima fa capolino anche la Serenissima repubblica di Venezia. La sua politica d'espansione sulla terra ferma l'aveva portata ai confini

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