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3) Giorgio Corner, Provveditore in campo nel Friuli.

4) Pandolfo Malatesta di Rimini, uno de' condottieri che il Capitano Generale delle truppe Venete, Bartolomeo d'Alviano, condusse seco in Friuli.

Agminum ductor properare iussus,

Solus heroum varios labores

Mente revolvens,

Solus Alcidae Bromiique cultor
Acre qui Magni ingenium secutus

Nunc Alexandri Venetis tropheum
Erigis ingens.

Dumque Iulaeos animo triumphos
Fortisque Drusi Mariique caedes
Laetus in Cymbros repetis cruentas,
Fulminis instar,

Cogis alpinas superare cautes
Et per anfractus penetrare turmas,
Vixque conspectos animosus armis

Obruis hostes.

Tu Cadubrinam redimisque Plebem
Postquam lustratas acies rigenti
Rupe fundatum subito Cromonem
Impete vincis.

Cingis hinc arces Comitis superbas
Pertinax in Goriciosque pugnas,
Dumque tormentis ruis, hos repente
Sub iuga mittis.

Tradit hinc Portus tibi se Naonis
Et Novum Castrum trepido tumultu,
Signa Belgradum tulit et Leonis

Quadriviumque.

Post Tegesteos petit oppidanos,

Sponte Pucino subeunte sceptra,
Discutit muros calybemque torquens
Machina flammis.

Quis nihil prodest operosa moles
Adriae aut saevo pelago imminere,
Sunt sed impulsi posito tributo

Dedere sese

Omine infausto sequere hancque palmam
Nam tuum nomen nimium tremiscunt

1) Il poeta ricorda la disfatta data dall'Alviano in Cadore ai tedeschi (2 marzo 1508) e la presa di Pieve, e prosegue accennando all'espugnazione di Cormons, Gorizia, Pordenone, Castelnovo, Belgrado, Codroipo e Trieste, luoghi che lo stesso Alviano in pochi giorni tolse ai nemici.

Barbari extremi: fugit inque tesqua
Victus lapis.

I, triumphales tibi, Liviane,

Auguro pompas Veneto in Senatu

Auspice, extende imperium atque fama

Sydera transi.

Finis. Deo gratias.

Utini MDXI, ultimo mensis Februarii die.

O Liviane diis superis parem

Nunc adepte gloriam,

Barbaros in alpibus

Obruisti ut impios,

Estque Plebis incola
Te redemptus auspice,
Lux refulxit optima,
Mox deditque iubila

Tota terra Iulia.

O Liviane, tu patriae es pater,

Postquam asylon exulum
Furibusque commodum

Irruisti in oppidum,

Praepotens satellite

Machinisque diruis

Diripisque Cromona,

Praedam agisque maximam
Dividisque militi.

O Liviane, Goriciam capis

Et Tegeste nobile

Tu furore bellico,

Dum timentque barbari
Transis astra nomine
Hoc beatus omine:
Terga perge caedere, 1
Postquam victor intona:

Io triumphe, io triumphe.

1) Variante: Terga perge prosequi.

Finis.

CALENDIMARZO

La sera del primo di Marzo, chi percorresse la strada che da Verona mena a Rovereto e a Trento, oltrepassata la Chiusa cantata dall'Aleardi ', vedrebbe dai poggi che sovrastano ai paeselli delle due rive dell'Adige innalzarsi grandi fiammate a illuminar di una luce fantastica le vecchie torri degli Scaligeri e dei Castelbarco, e udrebbe grida e canti e spari risvegliar gli echi del Montebaldo. Il viaggiatore correrebbe forse col pensiero al modo onde sugli Apennini si usò di festeggiare le vittorie di nostra gente:

D'alti fuochi Alessandria giù giù dall'Apennino
Illumina la fuga del Cesar Ghibellino;

I fuochi de la lega rispondon da Tortona,

E un canto di vittoria nella pia notte suona:

Stretto è il leon di Svevia entro i latini acciari:

Ditelo, o fuochi, ai monti ai colli ai piani ai mari! 2,

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Leonida venturo....

(ALEARDI, Un'ora della mia giovinezza).

2) CARDUCCI, Su i campi di Marengo la notte del sabato santo 1175.

e ricordando le lotte recenti ripeterebbe i versi popolari del Fusinato :

Che cos'è là in fondo in fondo

Quella fiamma ognor crescente,
Quell'accorrere giocondo
D'affollata allegra gente,
Quegli evviva, quegli spari
Di moschetti e di mortari?.......

Se la fiamma che risplende
Sulle vette agli Apennini
Un di o l'altro si distende
Anche all'Alpe dei vicini,
Amatissimi Tedeschi

State freschi, state freschi!

Ma le fiamme che s'elevano anche sul colle di Rivoli, sacro alla storia, non risplendono per nuove vittorie latine: si tratta solamente di una festa tradizionale. Segno però ancor essa di vetusta latinità.

«È costume di alcune valli del Tirolo, che nella prima sera di Marzo i giovani del paese salgono sul più vicino colle, e acceso un gran fuoco per essere veduti in lontananza dalle amanti. loro, levano gridi e canzoni d'allegrezza, accoppiando i nomi delle fanciulle e degli innamorati, con desiderio che presto si celebrino le nozze ». Così Giovanni Prati descriveva brevemente la patria costumanza preludendo a una ballata che ad essa s'ispira: per il vivo amore ch'egli portò al Trentino e per i versi bellissimi onde più volte lo cantò, ben vorremo perdonargli se chiama il suo paese col nome che tanto spiaceva a Clementino Vannetti.

Poeta romantico, non fu quella la sola volta che il Prati attingesse ai costumi o alle leggende de' suoi alpigiani: ne' versi di lui, come nelle scritture di tanti altri di quella scuola, il folklorista diciamo pur cosi! - potrebbe cogliere più di un utile accenno a canti, a tradizioni, a usanze popolari. Uno degli scopi miei è 1) FUSINATO, L'illuminazione degli Apennini, to dicembre 1846.

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