ÀҾ˹éÒ˹ѧÊ×Í
PDF
ePub

appunto quello di richiamare su ciò l'attenzione degli studiosi: la nostra letteratura romantica potrà offrir loro materia a non poche indagini nuove, e modo ad un tempo di studiare praticamente i rapporti che corsero e posson correre fra l'arte ingenua del popolo e quella più culta, ma non sempre più fine, dei letterati. Nel rappresentare poeticamente la costumanza trentina non mi sembra però che il Prati sia stato troppo felice; nè so se la sua ballata meriterà di esser accolta nel libro d'oro de' suoi versi, che si attende da Ferdinando Martini. La lieta festa del Calendimarzo non forma invero che il fondo di quella poesia, la quale in fine non riesce che ad una delle solite tristi fantasie bürgeriane. Stuona anche il titolo: Rita. Sarà un nome molto romantico, ma è, o almeno era, de' meno diffusi nel Trentino. A ogni modo ascoltiamo il poeta '.

Presso un lago la povera Rita

Entro culla di giunchi vagi;
Gonnellina di canape ordita

Le fanciulle sue membra coprì.

Ma cresciuta fu bella....

La particella avversativa qui non è a posto; sennonchè i romantici non avean tempo per badare a codeste minuzie. Ma poichè anche noi non abbiamo tempo da perdere, faremo volentieri grazia ai lettori di tre altre quartine sentimentali, per venire a ciò che più c'interessa. Una sera adunque, racconta il Pratie senz'altro poteva dire la sera del primo di Marzo

[blocks in formation]

1) Opere del cav. GIOVANNI PRATI. Volume primo. Milano, Guigoni, 1862, pag. 233 e segg.

Archivio storico per Trieste, l'Istria e il Trentino

10

Improvvisa una vampa di fuoco
Sull'aperto del colle brillò,

E in fantastiche forme quel loco
Di gran gioia repente echeggiò.
A ogni nome ogni guancia pudica
Si vedea dolcemente arrossir,

E l'amica mescea con l'amica

Un giocondo od un mesto sospir.

<«< Rita intanto »>, prosegue malamente il poeta, «< movea dalle zolle Tratto tratto i begli occhi nel ciel, »><

Quando un grido si parte dal colle,

E salutano il nome più bel.

Il nome più bello è naturalmente quello della Rita; ma

Oh impensato dolor! Tenebroso

Un silenzio si fece lassù.

Rita attende; ma un nome di sposo

Al suo nome congiunto non fu.

Senza questa innovazione nella usanza del suo paese, e senza un seguito stranamente fantastico, al giovine poeta di Dasindo dovette parere che la festa del Calendimarzo non potesse essere materia di poesia. A noi sembra altrimenti; e giudichiamo che qualche anno dopo, nel progresso continuo del suo gusto poetico, egli avrebbe fatto volentieri giustizia dei luoghi comuni del romanticismo, onde è piena la seconda parte della sua ballata. Nella quale racconta come i festaioli fossero ammutoliti all' improvviso per aver visto

dall'acque del lago

Tre fiammelle fosforiche uscir

(i soliti fuochi fatui, così cari al poeta trentino), e Rita seder nel cerchio di quei pallidi fochi, poi esser posta

sul bruno coperchio

D'una bara, fra quattro doppier;

e come a tal vista quei bravi giovanotti fuggissero spaventati,

lasciando al poeta di confortare con versi assai brutti la povera Rita, cui da quel giorno orrende paure agitaron il sen. La fine s'indovina facilmente:

Passa l'anno; ed il colle deserto

Più di Marzo segnale non dà:
Più la fiamma non caccia dall'erto
La tenebra che sopra vi sta.
Qualche lampo, non lume di stelle,
Tratto tratto dai nugoli appar;
Solamente le note fiammelle
Sovra il lago si videro errar.
Ahi sventura! Uno squillo la torre
Della villa repente mandò;

Chi s'arresta, chi cerca, chi corre,
E all'inchiesta por mente non può.
Ahi sventura! Il bel mese dei fiori
Sulla terra non rieda mai più!
Un preludio d'ignoti dolori
Ha consunto bellezza e virtù.
L'anno innanzi l'han vista nel cerchio
Di quei pallidi fochi seder...
Or riposi sul bruno coperchio
D'una bara, fra quattro doppier!

Condoniamo alle tendenze romantiche, così diffuse quarant'anni or sono, codesto nordico innesto di funebri fantasmi nella allegra festa latina, e ringraziato il poeta d'averci pur fatto capire all'ingrosso in quale modo essa venisse celebrata nelle sue Giudicarie, vediamola un po' più davvicino nella Valle dell'Adige, dove è sempre viva, pur mostrando a più segni d'essere ormai prossima a spegnersi ancor essa.

Alla Chizzola un gruppo di giovinotti, quando sulla valle s'è stesa l'oscurità della sera, accende un gran fuoco sulla rupe dove già sorgeva la torre del vecchio castello dei Castelbarco, che più in basso, protettor della Villa, sbarrava la riva destra dell'Adige, e cui rispondeva, dall'altra parte del fiume, quello di Serravalle.

A un tratto uno de' giovani comincia la festa gridando a squar

[blocks in formation]

domandano forte i compagni, ritti intorno alla fiamma, mentre in basso, fra le rovine del castello, ascoltano le ragazze e i curiosi del paese. E il dialogo prosegue:

[blocks in formation]

Qui grida e spari, e i ragazzi agitano, quasi tede nuziali, i tizzoni accesi, e li lanciano anche, in segno d'allegria, giù dalla rupe. Poi il dialogo augurale si rinnova per un'altra coppia di giovani, e così prosegue finchè non siano rassegnati tutti i matrimoni possibili nel paese; mentre al di là dell'Adige largo e risonante, sopra a Santa Margherita, e sulla torre di Serravalle, e più lontano sopra alla ruina di Marco ricordata dall'Allighieri, splendono altri fuochi, e gli alti monti delle due sponde rimandan l'eco delle grida e degli spari, onde similmente tutti quei paeselli celebrano la festa delle nozze nelle calende di Marzo.

A rendere maggiore l'allegria non manca l'elemento satirico: finita la serie delle nozze ragionevoli, qualche bellumore si diverte, fra le risate universali, a dar marito anche alle vecchie zitellone del paese, o ad accoppiare il Curato con la Perpetua. Ciò spiace naturalmente a' preti e alle devote; anzi torna loro sgradita tutta quanta la festa, assai poco cristiana. A Brentonico nel 1885 un cappuccino, cui pure avevano aggiudicata una sposa,

[ocr errors]

Marzo su questo paese, per maritare una bella giovine! Chi è essa? chi non è essa? È la tale dei tali, A chi la diamo? A chi

[blocks in formation]

[blocks in formation]

se ne offese talmente, che chiuse il ciclo delle sue prediche negando al popolo la benedizione. Pochi giorni dopo, la Sorna, che per una profonda incassatura scende dal Baldo alla verde campagna della Chizzola per gettarsi rumorosa nell'Adige, rinnovando altre sue terribili gesta faceva ruinare per sostegno manco un gran tratto di vigneti e di cólti sotto a Brentonico, e i superstiziosi attribuirono la sciagura alla maledizione del frate, ch'ebbe però a passare qualche brutto quarto d'ora.

Il Raccoglitore di Rovereto, che ogni anno, accennandovi brevemente nella cronaca, testimonia del perdurare della festa del Marzo in tutti i numerosi paeselli che coronano la patria del Vannetti e del Rosmini, dovette quella volta occuparsi più del solito della vecchia usanza trentina; ed ecco quanto in esso fu scritto in proposito :

« Trallo-marzo. - Qualcuno espresse dei dubbi intorno a ciò che venne asserito in una nostra corrispondenza da Brentonico, se cioè fosse vero che un predicatore quaresimalista avesse negato la benedizione al popolo, e dato con ciò ansa ai pregiudizi. Il nostro corrispondente ha detto la semplice verità, ed ora siamo in grado di confermare che il p. Ruatti cappuccino ha realmente derogato dalle consuetudini.

cenobita la colpa del cura al superiore del

S'intende bene che noi non affibbiamo al rigido disastro; constatiamo il fatto e nulla più, lasciando la l'Ordine di ricondurre quel suo adepto sulla via della mitezza evangelica, che a quel che pare non sembra il suo forte, se non seppe resistere ad una facezia stramba quanto si vuole, ma in fondo non affatto cattiva.

Ed ecco come.

Tra i fuochi tradizionali del tratto marzo e le grida matrimoniali un qualche matto aggiudicò una forosetta anche al p. Ruatti. Inde irae, e niente benedizione. Poco appresso la terra andò in isdrucciolo: quindi il pregiudizio che il cappuccino entrasse per alcunchè nello strano scivolamento, Figuratevi se sia giustizia questa, e se non saría più positivo l'attribuirlo alla lenta instancabile opera del tempo e delle acque soprastanti. Ma si, andatelo a dire alle donnicciuole! La benedizione ci voleva, la benedizione! o altrimenti il p. Ruatti è il capro. Manco male che alla mancata benedizione supplisce la pubblica carità, che anche oggi si esplica con nuove offerte, per le quali mandiamo agli oblatori un vivo grazie in nome dei beneficati ».

1) Anno XVIII, n. 66, 2 giugno 1885.

« ¡è͹˹éÒ´Óà¹Ô¹¡ÒõèÍ
 »