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Tratto-marzo dice il Raccoglitore, e i contadini della Valle Lagarina vi parlano infatti del trar Marz o trar zo Marz, e del trato Marzo quelli di Rendena '; ma sono corruzioni evidenti di entrar Marz, chè quella che celebrano è l'entrata del Marzo, e il verso col quale s'apre la festa doveva sonare una volta:

Entra Marzo in questa terra.

E ch'entra Marzo ancor si grida ne' villaggi più meridionali, fra Ala e la Chiusa, ossia in quel pezzo della Val d'Adige che fa parte della provincia veronese e del presente regno d'Italia. A Peri, ad esempio, il dialogo è il seguente:

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poi sparano e cantano. Ciò già la sera dell'ultimo di Febraio, accendendosi i soliti fuochi; ma questi e le grida si rinnovano la sera seguente, sennonchè invece di entrar allora dicono criar

1) In Rendena la festa si fa ancora, nelle tre prime sere di Marzó, in modo analogo a quello della Val d'Adige, ma solo nella terza ha carattere serio. Secondo il Bolognini, al quale attingo questa notizia (X Annuario della Società degli alpinisti tridentini, pag. 279), il dialogo è il seguente: Trato Marzo in questa terra: Gh'è da maridar na puta bella. Èla po bella?

L'è bella, L'è la N. N. A chi l'em da dar?

l'è bella. Chi èla, chi non èla? Demoghela al N. N., che l'è da maridar. - Demoghela, demoghela. Osservo però che secondo C. GAMBILLO (VIII Ann. della Soc. degli alp. trid., p. 126) nella stessa Rendena si direbbe invece Contramarzo, e la festa vi si celebrerebbe solo nella prima sera del mese, con carattere puramente satirico.

(gridare). Istessamente, o con lievi differenze, a Rivalta e negli altri paeselli a piè del Baldo, nonchè in Valpolicella e in Valpantena.

Alla Ferrara di Monte Baldo la festa, che vi si celebra solo nella sera del primo di Marzo, ha carattere più burlesco e satirico: i giovani, sparando armi da fuoco e facendo rumore con campanelle e altri simili strumenti, fanno il giro del paese, e fermandosi sotto le finestre delle ragazze, partiti in due cori, gridano così:

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Ma son degenerazioni; chè dapprima si dovette rappresentare realmente e seriamente fra grandi fuochi di gioia l'entrata di Marzo ne' villaggi, e con essa quella della stagione de' fiori e degli amori, figurando alcuno il Marzo personificato, co' suoi attributi tradizionali :

Entra Marzo in questa terra

Per maritare una putta bella!

I

Chi conosce lo studio di Alessandro D'Ancona sulle rappresentazioni dei mesi nella poesia e nell'arte del nostro popolo non ha bisogno ch'io gli spieghi maggiormente, come l'usanza

1) D'Ancona, I dodici mesi dell'anno, nell'Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, II, 240 e segg.; cfr. ibid., II, 563, e IV, 436. Vedasi anche GIANNINI, Canti popolari della montagna Lucchese, Torino, Loescher, 1889, p. 233 e segg.

trentina sia nuovo documento di quelle. Piuttosto potrà parere curioso che mentre in paesi più meridionali, come la Toscana, si festeggiano apportatrici della buona stagione le calende di Maggio, e in esse si pianta l'albero fiorito dinnanzi alla porta delle innamorate o ne' canti di questua si salutano gli sposi promessi, nel Trentino la festa della gioventù desiderosa di nozze si celebri invece nelle calende più rigide del Marzo. Ma è veramente col Marzo che si esce dall'inverno e la primavera reca i primi fiori e la terra è feconda; e col Marzo (ab Incarnatione) cominciava quasi generalmente l'anno nel Medioevo, anzi precisamente con le calende principiava quello civile di Venezia, che si dovè usare pure in molta parte del Trentino. Ma poichè io credo che la costumanza dei tenaci alpigiani trentini sia anche più antica di Venezia, e si ricolleghi alle vetuste usanze latine, non sarà inutile ricordare che col Marzo s'apriva dapprima l'anno romano, e che nelle calende di quel mese atto alla fecondazione si celebravano le feste matronali in onore di Lucina e di Marte, che s'era unito ad Ilia per dare i natali a Romolo.

Al dio onde Marzo piglia il nome, così Ovidio faceva cantare ne' Fasti:

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quod erat de me feliciter Ilia mater,

Rite colunt matres sacra diemque meum?

Quid? quod hienis, adoperta gelu, nunc denique cedit,
Et pereunt victae sole tepente nives?

Arboribus redeunt detonsae frigore frondes:

Uvidaque e tenero palmite gemma tumet;

Quaeque diu latuit, nunc se, qua tollat in auras,
Fertilis occultas invenit herba vias:

Nunc fecundus ager, pecoris nunc hora creandi:

Nunc avis in ramo tecta laremque parat;

e ai versi del poeta latino pare faccia eco il dialogo del Calendi

marzo trentino, quale si grida nei dintorni di Pergine in Valsugana:

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Nè sono io il primo a ravvisare nei fuochi del Calendimarzo un avanzo delle costumanze pagane; dello stesso parere fu già il magnifico messer Carlo Malatesta, signore di Rimini: « Perchè

1) Così, salvo che dice stranamente i cani, anzichè le vacche, il dialogo è riferito dallo Schneller (Märchen und Sagen aus Wälschtirol, Innsbruck, 1867, p. 235), il quale aggiunge che ogni coppia è salutata da spari, rumori e suoni di campanelli. Francesco Ambrosi mi scrive però che in Valsugana la costumanza è ora quasi sparita: solo nei paesi di montagna si va ancora sotto le finestre delle ragazze ad assegnar loro il marito, facendo strani rumori come alla Ferrara di Monte Baldo. In modo presso a poco eguale, e con gli stessi ricordi della primavera che torna e permette il pascolo alle pecore e alle vacche (a ciò forse allude pure il suono delle campanelle) si festeggiava il Marzo fino a pochi anni or sono dinnanzi alla porta del castello di Soave nel Veronese, come mi assicura Pietro Sgulmero:

Tratto Marzo in questa nobil terra:

Son qua per maridare la più bella!

- Ci èla? ci no èla?

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E qui proclamavano i matrimoni, suonando campanelle, di quelle appunto che si attaccano al collo delle vacche, e sparando. Anche a Soave i burloni non mancavano di approfittare della festa per far ridere a spese di Tizio o di Caio, onde si narra che talvolta i beffeggiati, per rabbia, non spararono a polvere, ma a palla. Nel 1847 pur a Soave vollero annunziar le nozze dell'arciprete, e proprio con una vedova tedesca, levatrice per giunta; ma ripetendosi la festa, capitarono a disturbarla, baionetta in canna, i gendarmi austriaci, che misero tutti in fuga, arrestando ben quaranta persone. Dopo un lungo processo, chi fu condannato a sei mesi di carcere, e chi ad un anno: ben si capisce che ai buoni abitanti di Soave passasse la voglia di salutare con gioia le calende di Marzo!

el non è lecito ai Cristiani egli mandava in bando de observare le superstitiune e Calende de' pagani, cunsoziacosa che questa sia grande ydolatria et dispiacere del Nostro Signore Dio, fa comandare el dicto Magnifico Signore Karlo, che zascheduna persona se dibia guardare da questo di nance de illuminare Marzo o alcuno altro ydolo; faxendo asavere, che zascheduna persona che incorrerà in questo dilicto, ultra la pena spirituale serà messo in prexione, et li starà per spacio de uno anno » '.

In Romagna nel secolo XIV c'era dunque l'uso di festeggiare con fuochi l'entrata di Marzo, ma il bando malatestiano non ci autorizza a credere che in quella festa di capodanno si pronosticassero anche le nozze 2. Certo è che le minaccie di messer Carlo non valsero a distruggere in Romagna l'uso di illuminare Marzo, che esso vi durava sempre nel principio del secolo

1) BAGLI, Bandi malatestiani, negli Atti e Mem. della R. Deput. di st. p. per le prov. di Romagna, s. III, vol. III, 1885, pag. 76 e segg.

2) Nel principio dell'anno, e precisamente la vigilia dell'Epifania, anche nel Lucchese si sorteggiano gli sposi; ma se in origine le sorti si dovettero interrogare sul serio, ora la cosa si fa per celia. Ed ecco come, secondo mi riferisce Giovanni Giannini: «< A Collodi, a Veneri e forse anche negli altri paesi della campagna lucchese, la vigilia dell'Epifania son soliti fare i cosidetti befani (da Befana). Nelle ore notturne, in qualche casa dove siano raccolte a veglia più persone, scrivono su de' foglietti di carta i nomi dei giovanotti e delle ragazze del paese, poi li accartocciano e li gettano in due cappelli: nell'uno quelli che contengono i nomi de' giovani, nell'altro quelli delle ragazze; mischiatili bene, tiran poi su un foglietto per parte, dichiarando sposi coloro, il cui nome è uscito fuori insieme; e dopo aver riso della combinazione o verisimile o strana, accartocciano insieme i nomi de' due sposi, e proseguono nel sorteggio finchè i nomi non siano estratti tutti; finita l'operazione, prendono que' foglietti e li spargono per la via più frequentata, com'è generalmente quella che conduce alla chiesa: alla mattina i passanti raccolgono quei befani e si divertono ancor essi leggendo i nomi combinati dalla sorte ». Una qualche relazione lontana con l'uso trentino si potrebbe anche trovare nel giuoco fanciullesco dell'ambasciatore, per il quale vedi DEGUBERNATIS, Stor. compar. degli usi nuziali, Milano, 1869, p. 19; BERNONI, Giuochi popolari veneziani, 43; FERRARO, C. pop. del basso Monferrato, 69; BOLOGNINI nel XIV annuario della Soc. degli alp. trid., p. 127; GIANNINI G., Canti pop. della montagna lucchese, p. 298; NIGRA, C. pop. del Piemonte, p. 563.

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