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poi lo mettete in la sua sepultura
dentro lo corpo del lione antico

Si & per tal modo che tucto se desfaccia
le polpe & lossa & ogne sua iuntura
& de po questo fate che se faccia
dellacqua terra che sia necta & pura
Et della terra & dellacqua se uol terra fare
così la preta fai multiplicare.

CICCO DE ASCOLI.

Chi soluere non sa ne assoctigliare corpo non tocchi ne argento uiuo perche non po el fisso & lo uolatiuo tener ad chi non sa de doi un fare

Fatelo adunche strecto abracciare

con aqua viva & sal dissolutivo

tere bene coque piane in modo che sia privo dela terra mamma la qual lo fa celare Allora vederai fugire la nocte oscura tornare lo sol lucente & bello

con molti fiori ornato in sua figura

questo e la preta questo e quello
delli philosophi lantica scriptura

chen su lancudene bacte lo martello.

FRATE HELIA.

Solvete li corpi in acqua ad tucti dico voi che cercate fare sole & luna delle doi acque prenderete luna

qual più ve piace fate quel che hio dico

Datela a bere a quel uostro inimico sensa mangiare hio dico cosa alcuna

morto lo trouarai el vero ue dico

dentro de corpo del lione antiquo

Possa li date la sua sepultura

si & in tal modo che tucto se desfaccia

la carne & le ossa & tucta sua iontura

Et facto questo fate che se faccia

de lacqua terra che sia necta & pura

& della terra & de lacqua se uol terra fare
cosi la preta vole multiplicare

Se tu me scolti & pratichi el sonecto

serrai signor de quel che si sogiecto

El vostro fratre Elia 1

Migliore di questi sonetti, la canzone del maestro capodistriano ebbe anche miglior fortuna presso gli alchimisti del quattro et del cinquecento. La prova di questa sua passeggiera celebrità ci è data dalla relativa abbondanza di riproduzioni che essa ebbe in codici e in istampe di materia alchimistica: quattro ne conosco dei primi, e due delle seconde. I codici sono:

1. Marciano lat. CCCXXVI, in 4.o, cartaceo. Contiene: I (c. 1-43), Theoria in lapide philosophico, quae intitulatur mare

1) Ai tre poeti alchimisti, due se ne possono opporre contrari all'Alchimia: Gonnella degli Interminelli chiedeva in un sonetto a Bonagiunta Urbiciani la ragione

Ond'è che ferro per ferro si lima,

avvertendo nella seconda terzina:

D'ogni arte dell'Alchima mi diffido;

Bonagiunta risponde, ma l' Interminelli, non soddisfatto, invia un secondo sonetto, al quale Bonagiunta replica :

Perchè natura dà ciò ch'è primero,

e poi l'arte lo segue e lo dicima,
ma ha più d'arte chi è più ingegnero,
e meno chi più sente dell'Alchima.
Onde l'Alchima verace non crido,
perchè formata di transmutamento
di si falsi color tra le metalla.
Ma s'è ver arte, non s'apprende; fido
che sia peccato contra parimento,
chè non è frutto se non è di talla.

Cosi nel VALERIANI, I, pagg. 530-533.

glieva all'Alchimia la materia a un paragone:

Anche il notaio da Lentini to

Come l'argento vivo fugge 1 foco

Cosi mi fa del viso lo colore. (VAL, I, 305).

2) ZANETTI, Lat. et ital. D. Marci Bibl. cod, mss., p. 139; VALENTINELLI, Bibl.

ms. ad S. Marci Venetiarum, t. V, p. 149.

magnum; II (c. 44-47), la nostra canzone; III (c. 48-49), Metaphora quaedam regis, che è la nota allegoria del Re Merlino, nella quale è adombrato il processo della tramutazione metallica, e che fu riprodotta in più codici e stampe.

2. Riccardiano 3247, miscellaneo. L'ultimo dei fascicoli che lo compongono, consta di 28 carte e due guardie non numerate. A tergo della seconda di queste è una breve tavola del contenuto: 1. Ex Ortolano extractum (c. 1o); 2. Lumen luminum Galieni sive Rasis (c. 2a-14a); 3. Rosarius medius Johannis Anglici (c. 15-23); 4. Rithmus sive carmen vulgare Danielis de Justinopoli (c. 24-25, scritte a due colonne); 5. Modus faciendi salem ex omnibus rebus et etiam ex metallis, ex Gebro: de investigatione perfecti magisterii (c. 25-27b); 6. De septem proprietatibus necessariis medicine nostre (c. 27-28). Tutti questi trattati o estratti, meno il terzo, paiono scritti da una stessa mano della fine del sec. XV, e tutti portano nei margini postille, alcune della penna che li copiò, altre di penna differente: a questa sono dovute anche le note le correzioni al testo della nostra canzone. Evidentemente il codice appartenne a qualche diligente alchimista.

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3. Cod. 173 della Bibl. Landau di Firenze; cart. della fine del sec. XVI, contenente varie scritture alchimistiche. La canzone vi si legge, tutta ammodernata, a carte 75 e 76, ma si arresta a metà della strofe ottava. Potrebbe essere una copia della stampa del Nazari, che più sotto descriviamo.

4. Cod. L. X. 29 della Comunale di Siena, cartaceo in 4o piccolo, scritto da più mani dei secoli XV e XVI. Miscellanea di più cose alchimistiche. A c. 142 sta, come si è avvertito, il sonetto di frate Elia; indi comincia la canzone di Daniello che va fino alla c. 147, ma in lezione scorrettissima, e mutila.

Si aggiunga che quattro versi della nostra canzone, e precisamente gli ultimi della strofe ottava, si trovano accodati, come notammo, ad uno dei sonetti attribuiti a frate Elia nel codice contenente il trattato di lui, ch'era presso il fisico Magnani, e furono stampati dal Crescimbeni nei suoi Commentari.

Archivio Storico per Trieste, l'Istria e il Trentino

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Le stampe della canzone, come abbiamo detto, sono due. La prima è nella Summa perfectionis Geberi descritta più sopra: ivi la canzone segue i sonetti, e va dal verso della c. 116 al verso della 120, arrestandosi alla strofa sedicesima. Una ignota mano del sec. XVI aggiunse nell'esemplare ch'io ne potei vedere nella Comunale di Verona, le ultime due.

La seconda stampa è nel libro: « Della Tramutatione metallica, sogni tre di Gio. Battista Nazari, bresciano. Nel primo di quali si tratta della falsa tramutatione sofistica: Nel secondo della utile tramutatione detta reale usuale: Nel terzo della divina tramutatione detta filosofica. Con un copioso Indice per ciascun sogno degl' Auttori & Opere c'hanno sopra ciò trattate. In Brescia, appresso Francesco et Piet. Maria Marchetti fratelli. M.D.LXXII. » '; e di nuovo <«<< In Brescia Appresso Pietro Maria Marchetti. M.D.XCIX. Con licenza de' Superiori »; « Agiontovi di nuovo la Concordanza di Filosofi, & loro Prattica; Nella quale si vede i gradi & termini della Filosofia Naturale », ecc. 2.

Curioso libro, dove il Nazari narra tre sogni o visioni, nelle quali, guidato da tre donzelle, percorre i regni alchimistici; e precisamente nel primo quello della falsa alchimia o sofistica, nel quale vede e descrive le aberrazioni dei poveri matti soffianti e stillanti le più pazze cose del mondo, e dove, incontratosi col conte di Treves, famoso alchimista, da questo gli sono dimostrate anche più chiaramente le pazzie dei falsi alchimisti e narrate le vane fatiche da lui stesso sostenute, e il tempo e i denari gettati prima di trovare il vero processo; nel secondo è descritto il regno della vera alchimia, dove il Nazari ritrova il conte, che gli spiega il processo naturale del Lapis dei filosofi; nel terzo infine è trattata la parte filosofico-scolastica della tramutazione metallica, e raccontato come l'autore, dopo aver avuto spiegazione dalla donzella che lo guida, di uno stranissimo albero simbolico rappresentante la genealogia di un re che è poi il Lapis

1) In 4.° picc., di pag. 167, precedute e seguite da 8 altre n. m.; cou alcune curiose figure, una delle quali ripetuta.

2) In 4.° picc., di pag. 16 n. n, e 231; con le stesse figure.

filosofico, pervenisse ad un laghetto, sulla cui riva è il monumento di Geber, e sul piedestallo alcune iscrizioni, che avvertono il fortunato viandante come l'isoletta che si trova nel mezzo del lago sia l'isola del perfetto magistero, della quale Geber è signore. Il Nazari in una navicella, che da sola viene a prenderlo, passa sulla divina isoletta, ove fra molte altre cose bellissime, trova un chiostro, e in giro ad esso moltissime nicchie, in ognuna delle quali è una statua togata con un cartello scritto in mano: guarda, legge, nota, e forma cosi una piccola bibliografia alchimistica che contiene i soliti nomi, i soliti anonimi, il nostro Daniello, e fin Dantes Philosophus. Dopo aver visto altre cose mirabili, l'autore trova per la terza volta il conte, il quale con la solita allegoria del re Merlino gli espone l'opera filosofale. Così ha termine il terzo sogno, al quale tiene dietro (pag. 159-167), tanto nella prima che nella seconda edizione, la Canzone di Rigino Danielli Justinopolitano Nella quale si tratta tutta la Filosofica arte del precioso Lapis de Filosofi, manchevole però delle due ultime strofe. La lezione è identica a quella del codice Landau, così da farle ritenere attinte entrambe a una fonte comune; se pur la stessa stampa non fu l'esemplare del codice, che s'arrestal prima della copia del Nazari.

1) I Nazari cita anche ANTONII DE ABBACIA Epistolae duae de lapide philosophorum, e LUDOVICI DE TRIDENTO Rosarium. Se il primo fosse proprio di Abbazia istriana (presso Fiume) o d'altro luogo omonimo, non posso dire, ma solo aggiungere di aver visto ricordato altrove: ANTONII DE ABBATIA, Manuale Chymicum, germanice: extat cum lo. Ticinensis Processu de Lapide Philosophico, Hamb., 1670, in 8°. Nè altro posso dire, riuscita vana ogni ricerca, intorno al secondo, il quale del resto non deve meravigliare chi ricordi come anche il Trentino abbia un tempo partecipato agli entusiasmi alchimistici. Infatti, anche « sopra Ravina o Rovina, dentro a certo seno di monti, detto Margon, trovasi un Palaggio, ossia Castello fabricato già dalla famiglia Bassa, indi passato ne' conti Fuggeri, che lo ridussero in miglior forma, e, a quel che intendo, vi faceano l'Oro, o disfacevano. Parlano perciò ancor i Volti sotteranei, dove si lambicava di fumo à forza d'Alchimia, o si lavorava d'Alchimia a forza d'Oro ». Così il MARIANI nel suo Trento con il sacro concilio, MDCLXXIII, pag. 467.

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