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critica appoggiata alle scienze fisiche e naturali, nominatamente l'Exemeron, la quasi prevalenza di queste scienze diventa prevalenza decisa, e tante volte esclusività. Di Exemeron, pubblicati sotto diversi titoli, nessuna altra epoca fu tanto feconda quanto la nostra, che pure fra le esegetiche è forse la meno esegetica di tutte. Coteste opere io le vado da un pezzo raccogliendo e leggendo, non senza qualche spreco di danaro e moltissimo di tempo. Apritele.... quando non siano, come mi è occorso qualche volta, diatribe grossolane contro i geologi e la geologia, sono altrettanti trattati di questa scienza, o almeno hanno l'aria o la pretesa di esserlo. Un trattatello di geologia deve poi trovare il suo posto in tutte le opere apologetiche, ed è diventato ormai tema obbligato di tutti i predicatori quaresimalisti. È bene, o è male?.... Non parliamo d'intenzioni, le quali, non c'è che dire, sono sempre ottime. Parliamo di modo e d'effetto. Possiamo credere lodevole quello, e rallegrarci di questo? Io dico di no. Cominciamo a dire che, con tante opere pubblicate colla santa intenzione di conciliare, come si dice, la ragione colla fede, il numero degli increduli non ha fatto che crescere; come non han fatto che crescere, per rispetto a codesto argomento della Cosmogonia mosaica, le incertezze e le discordi opinioni dei credenti. Il medesimo interesse che prendono specialmente gli Ecclesiasti ad ogni scritto che esca su questa materia, lo dimostra ad evidenza. C'è un credente nel quale m'imbattessi nella mia ormai lunga carriera, che non avesse tosto mille quesiti da muovermi in proposito, e non m'eccitasse ad occuparmi di così spinoso argomento? Poveri disgraziati! a chi mai si rivolgono?

5. Tuttavia, appunto per ciò, già da molti anni, portato dalla stessa natura de' miei studî speciali, mi sono dato a pensare, ed a raccogliere a mano a mano quanto fu scritto dai primi tempi della Chiesa fino ad oggi sulla Cosmogonia mosaica. Ma ogni giorno più mi cresce la convinzione che molto ci sia, per difetto di tempi e di persone, da emendare in ciò che s'è fatto, e molto più da fare di nuovo, per rispondere ai nuovi bisogni dell'umana

ragione, e per uscire da quello stato d'incertezza, relativa non già, Dio liberi! a cose propriamente di fede, ma a cose disputabili o che hanno soltanto attinenza colla fede, ma che ci rendono deboli e discordi e quindi inefficaci contro gli assalti del moderno positivismo. Radunata già molta copia di materiali, all'intento di misurarmi anch'io sul difficile terreno, sparso di caduti, pubblicando un'opera sulla Cosmogonia mosaica, intanto che la vado elaborando con quella lentezza che mi è imposta dal tempo troppo scarso in proporzione di quelle masse di opere da consultarsi per trattare convenientemente e coscienziosamente il soggetto, e più ancora dalla difficoltà e dalla delicatezza del soggetto stesso, pensai che cosa non inopportuna, anzi proficua allo scopo, doveva essere di mandar fuori a mano a mano qualche campione di questi miei siudî. Sarebbe stato un modo codesto di mettere al saggio del buon senso pubblico le mie idee; di stimolare i miei rispettabili e dotti amici, e tutti gli amici della verità e della religione, a mandarmi quelle osservazioni e quei consigli di cui ho tanto bisogno; sarebbe stato insomma un sottoporre anticipatamente il mio lavoro a quella critica, benevola o malevola che sia, giusta od ingiusta, sapiente o stolta, ma utile sempre, la quale per lo più, diciamolo, arriva come il soccorso di Pisa, quando l'opera è già pubblicata. Io volevo insomma anticipatamente poter dire con S. Paolo: Sapientibus et insipientibus debitor sum. Primi effetti di questi miei calcoli, tutt'altro che disinteressati, capta occasione, furono appunto quei Frammenti di un Exemeron, pubblicati nella Rassegna Nazionale. Quegli articoli avevano per oggetto soltanto la dichiarazione storica o letterale di alcune parole piuttosto che di alcuni passi del primo capitolo della Genesi; e come tali andavano letti e giudicati, senza andare a cercare per ora le conseguenze, alle quali lo studio rigoroso della lettera mi avrebbe condotto riguardo alla definitiva interpretazione della Cosmogonia mosaica. Mentre però l'esito di quegli articoli mi provava ch'io non avevo, come dissi, sperato invano nel concorso degli amici, alcune cri

tiche mi avvertirono che forse non era la cosa più conveniente e più utile al mio scopo di entrar subito nel campo pratico della interpretazione della Cosmogonia mosaica, se prima non avessi fatto conoscere le riflessioni e i principî da cui mi sarei lasciato condurre in questo genere di indagini. Fu allora che mi sono provato a buttar giù sulla carta il presente scritto, di cui ecco il piano ossia la traccia.

6. Comincio ad indagare le ragioni storiche per cui, da una Esegesi che si occupava quasi unicamente dell'obbietto vero e diretto del divino insegnamento, cioè del dogma e della morale cattolica, si sia passato per gradi ad una Esegesi che si occupa quasi senza eccezione della sola parte materiale, alla quale appartengono gli oggetti e i fenomeni naturali, rammentati quasi sempre, fuori dell'Exemeron ossia del primo capitolo della Genesi, in via affatto incidentale nella Bibbia. Sentito, durante questa ricerca, il bisogno di un rinnovamento della critica esegetica su basi più ragionevoli e più pratiche, cerco di valutare dapprima con giusta misura le difficoltà oggettive o soggettive che devono vincersi per attuarlo. Passo in seguito a additare quale mi sembrerebbe il processo critico da seguirsi, specialmente per vincere la prima e massima difficoltà, assicurando l'adempimento della prima e più necessaria condizione della critica esegetica, che è quella di stabilire con sicurezza, contro le interpretazioni o false, o incerte o insufficienti, il senso storico o letterale della Sacra Scrittura dove si parla delle cose naturali.

Ma sarebbe sconoscere le regole più elementari della critica e peggio uno dei canoni più fondamentali della critica esegetica anzi un dogma sacrosanto, il credere che il senso letterale possa sempre bastare alla piena intelligenza delle Scritture; mentre in moltissimi casi essa comanda un passo più in là, cioè la ricerca di un senso che sotto la lettera si cela. Nè tale ricerca è necessaria soltanto per conseguire la pienezza del senso scritturale, occorrendo moltissime volte, anche nella lettura degli autori profani, che la lettera per sè, non solo ci lasci a mezzo col senso

inteso dall'autore, ma ci presenti un non senso, cioè un senso inintelligibile, irrazionale, assurdo. Non è punto detto che un tal caso non possa verificarsi anche per quei passi della Scrittura, dove, fornendone materia le cose naturali, sembrerebbe a prima vista che ci dovessero bastare la lettera ben'intesa del testo a darne compito il senso, e la ragione, suffragata dall'osservazione e dall'esperienza, a dimostrarne la ragionevolezza e la verità. Può darsi invece, e pur troppo si dà, che il medesimo processo rigoroso da praticarsi per stabilire il preciso significato storico o letterale di certi passi, ci conduca, anche in materia di cosa naturale, al bivio o di ammettere l'errore nelle Scritture, o di scoprire una verità nascosta sotto le specie erronee della lettera. Ma quel rigore stesso di critica, il quale ci avesse per avventura convinti della necessità di fare quel passo dal senso letterale o aperto al senso spirituale o chiuso, comunque si nomi, di fare quel passo, per esempio, dalle cose materiali alle spirituali, dalle naturali alle soprannaturali, deve anche esserci guida nel farlo, perchè non ci giuochi l'arbitrio, e mentre le apparenze dell'errore si mettono a nudo, sotto di esse la verità non comparisca, sicchè ne abbiano scandalo i credenti, ed argomento di trionfo gl'increduli. Ho in mente perciò di tenere dietro al processo della critica esegetica fin là dove c'insegna a stabilire la necessità di passare dal senso letterale ad altro senso, cioè dalle cose significanti alle cose significate, e ci dà le regole per reggerci sicuri in questo lubrico passaggio, chè per avventura non ci accada di sdrucciolare per via e di non poter giungere alla meta desiata della verità.

7. Non dirò cose nè profonde, nè nuove; ma tali che giovi ricordarle in un tempo, in cui da molti sembrano affatto dimenticate, con visibile scadimento della sacra Esegesi, considerata come scienza, e più ancora, come mezzo di difesa contro gli attentati del positivismo moderno. Sta però questo fatto che non c'è, ch'io sappia, nessuno dei moderni trattatisti, il quale abbia preso di mira in modo speciale l'applicazione dei principî della critica esegetica alla retta interpretazione di quei passi dell'Antico

Testamento i quali a cose naturali si riferiscono. Ed è cosa ben singolare codesta, mentre in questi ultimi tempi fioccarono da ogni parte gli Exemeron, ossia sotto varî titoli, in opere distinte, in articoli di giornali, od in capitoli d'opere, le interpretazioni della Cosmogonia mosaica, cioè di quel primo capitolo della Genesi, il quale, con parte del secondo, prescindendo dal dogma della Creazione che ci sta come obbietto principale e diretto del divino insegnamento, ci dà o sembra darci in compendio la storia naturale dell'universo visibile. Ma sono appunto codesti Exemeron quelli che m'han fatto dire senz'ambagi, che certi principî esegetici fondamentali sembrano posti in totale dimenticanza. Pochi del resto e poco divulgati sono i trattati d' Esegesi abbastanza moderni, perchè possa aspettarsene delle applicazioni speciali ed immediate ai bisogni affatto nuovi della moderna Esegesi. Anzi, parlando di quelli pubblicati in Italia, quando cominciai a scrivere, mi pare che, messo da parte il trattato del dottissimo Padre Patrizi (1) già troppo vecchio perchè pubblicato fin dal 1844, non ci restasse che l'altro, sotto il mio punto di vista, troppo più raccomandabile del dottissimo Tiboni (2). Anche questo però tocca già il suo trentennio di vita, e troppe cose si sono scoperte e divulgate in ordine alle scienze naturali in questi ultimi anni, che han dato argomento agl' increduli di sempre nuovi assalti contro il testo ispirato ed origine a tutta una nuova critica esegetica, sul cui valore molto equivoco mi sono già espresso abbastanza. C'è poi appunto nell'opera del Tiboni una cosa che mi avrebbe fatto sentire, se non l'avessi già da gran pezzo sentita per effetto de' miei studî speciali, l'opportunità, per non dire la

(1) F. X. Patritii, De Interpretatione Scripturarum Sacrarum. Romae, 1844. (2) P. E. Tiboni, Il Misticismo Biblico, 1853. Presentemente la nostra letteratura esegetica si è arricchita del voluminoso e pregievolissimo trattato del Professore Ubaldo Ubaldi (Introductio in Sacram Scripturam; Roma, in tre grossi volumi, di cui il 30 porta la data del 1881). Non mancherò di giovarmene per questa nuova edizione de' miei scritti esegetici, confessando però di trovarlo anch'esso, relativamente al mio scopo speciale, insufficiente. Ci farebbe oggi insomma bisogno di un trattato che s' intitolasse, p. es.: De naturalibus in Sacra Scriptura.

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