ภาพหน้าหนังสือ
PDF
ePub

per interpretare diversi passi della Genesi, e in ciò dà segno di mente acutissima. Ma anche i fatti, quali alla più volgare espe rienza si manifestano, muovono le loro brave obbiezioni alla lettera del testo mosaico. Come spiegare, per esempio, quei giorni, che scorrono misurati, prima che il sole comparisse nel suo giro. intorno alla terra? Come spiegare senza sole il giorno, e senza sole la notte? Come l'alternare della luce e delle tenebre sulla faccia della terra? Ed eccoti questa grand'arca di dogmatica cristiana sapienza, questo grande testimonio della fede primitiva, ridotto, davanti alle contraddizioni della lettera coi fatti che la lettera significa, alla condizione di tutti i tradizionalisti puri, che per difendere la nuda lettera del primo capo della Genesi, che da 18 secoli si ostina a rimanere un problema, sono costretti (come nol sono meno i concordisti moderni) a crearsi un mondo ipotetico; un mondo ideale, che non risponde alla realtà del mondo; un mondo che fu, in opposizione diametrale col mondo che è. Ma S. Efrem ricorre a questo espediente, non già, come tanti dei nostri razionalisti o credenti, dettando e imponendo le sue idee e le sue opinioni; ma come chi cerca, umile e dubitabondo, di sciogliere un difficile problema, pronto a ripararsi, incrociando le mani sul petto, nelle braccia di una fede, che dove la ragione non giunge, crede e non discute. Perciò la luce che distingue il giorno è una specie di nebbia, od una colonna luminosa, simile a quella del fuoco, che guidava gli Ebrei nel deserto. « Era un << vago barlume, diffuso dovunque nello spazio, a nessun luogo << affisso, che dissipava dovunque la notte, immobile affatto, salvo « quel moto, per cui, comparendo o scomparendo d'un tratto, « segnava il principio e la fine della notte. Così, con questa « luce, che assegnava misurati intervalli al giorno ed alla notte, « scorsero i primi tre giorni (1). » Nè quella luce andò perduta ;

(1) Erat quippe vagum lumen, longe lateque diffusum, nullo proinde loco < affixum, noctem undique dispellens, motuque carens, præter eum, quem ferebat subitus ortus et occasus, quibus noctis distinguebatur principium et finis. Hunc in modum, diei noctisque spatia dirimente luce, dies fluxere tres. >

[ocr errors]

-

ma benedetta da Dio come ottima cosa, venne più tardi ripartita tra i singoli astri del firmamento. Perciò alla creazione della luce, e a quell'impianto provvisorio del giorno e della notte, tien dietro la creazione del firmamento, poi la divisione delle acque, e la separazione delle terre e dei mari. Quì il nostro severissimo tradizionalista paga anch' egli il suo piccolo tributo ai suoi tempi, facendo grazia una volta tanto all'allegorismo, vinto dalla virtù tradizionale del numero 3. Se tutte le cose, che nascono dalla terra, vennero alla luce nel terzo giorno, ciò signi fica senza dubbio che tutte furono fatte nella Trinità (1). Benchè, come abbiamo visto, il gran Padre della Siria, si accontenti di trovare nella Causa prima la ragion delle cose create, e sembri indispettirsi che altri creda necessario l'intervento delle cause seconde, non ha poi difficoltà ad ammetterlo, quando gli par giusto ed evidente, anche nella medesima storia della creazione. Pare infatti che, nel concetto di S. Efrem, la vera creazione dal nulla debba intendersi soltanto delle cose create nelle due prime giornate cosmogeniche; e queste lo furono in virtù di quel primo atto eterno di volontà, di quell'atto creativo in cui convennero in Uno le tre divine Persone. Ma una volta creati il cielo e la terra, creata la luce, divisa la luce dalle tenebre, creato il firmamento, divise le acque superiori dalle inferiori, separate le acque e com parsa la terra asciutta, entrano in azione le cause seconde, e tutto il resto compare come prodotto spontaneo della natura, o come sarebbe a dire con moderno linguaggio, per naturale evoluzione. Così nel quarto giorno si formano la luna, da cui traggono origine i frutti dalla campagna, e il sole che li conduce a maturanza, mentre la terra, coll'ajuto della luce e dell'acqua, produce gli animali tutti, e tutto il resto di seguito.

Nessuno che non abbia letto il testo di S. Efrem potrebbe immaginarsi con quanto sforzo d'ingegno, con quanto lavoro

(1)

Interim quum die tertia cuncta, quæ e terra oriuntur, in lucem prodiisse audis, omnia in Trinitate facta fuisse intellige.

[ocr errors]

d'ipotesi il sant'uomo, quasi affatto ignaro anche delle leggi più elementari della cosmogonia e della fisica terrestre, intese a conciliare quel complesso infinito e maraviglioso di fenomeni, tutto quell' intreccio di mobili elementi, onde si perenna la vita dell'universo, colla povertà e col laconismo della lettera biblica, per lui unica fonte d'ogni cognizione positiva, finchè pur riesca a formarsi, tutta di sua testa, un'idea del reale impianto dell'uni. verso. Quelle acque salse e stagnanti in seno ai mari, dolci e scorrevoli sulle terre e nei fiumi, pioventi negli spazi tra la terra e il firmamento, imprigionate dal firmamento sopra il firmamento negli spazî piu elevati del cielo, indipendenti le une dalle altre, benchè tutte ad una volta create, ne tormentano in modo singolarissimo il voglioso intelletto. Quasi verrebbe in mente di domandargli: perchè, ammessa come prima ed unica ragione delle cose la virtù creatrice di Dio, si lasci poi anche lui tormentare da quella smania insaziabile degli etnici e dei filosofi scredenti, che pose sulla bocca del più celebre ateo dell'antichità il verso

Beatus qui potuit rerum cognoscere caussas.

Ma la ragione si è che ai tempi di S. Efrem non era più nemmeno necessario di trovarsi in mezzo ai sofisti della dotta e superba Grecia, come gli altri Padri della Chiesa, per sentire il bisogno urgente di rispondere razionalmente a quelle difficoltà di cui si armava l'indocile ragione, che, superba delle acquistate cognizioni, non sapeva piegarsi ad accettare puramente e semplicemente la verità, di così povere forme vestite. La scienza nelle regioni della Mesopotamia era certamente povera in confronto della scienza greca, benchè questa fosse ancora poverissima in confronto della scienza moderna; ma la scienza dei Siri era pur sempre allora qualche cosa di ben più elevato che la scienza degli adamitici, alla cui capacità dovette Iddio adattare il racconto della creazione, ed anche della scienza dei primitivi Ebrei, pei quali Mosè, divinamente ispirato, raccoglieva e scriveva nella Genesi il verbo divino tramandato dalla tradizione. La verità che a Dio pre

meva di rivelare, e agli antichi patriarchi e a Mosè di tramandare ed inculcare era questa: che Dio ha creato il cielo e la terra, e tutte le cose che si vedono nel cielo e sulla terra. I termini adoperati per far conoscere in tutta la sua interezza questa verità, in guisa da non lasciare nessun appiglio ad ammettere nè un principio creatore fuori di Dio, nè una creatura fuori delle cose create da Dio, dovevano adattarsi alla capacità dei popoli primitivi. Le difficoltà che provavano i popoli più maturi, a cui quella verità era annunciata, e quelle anche maggiori che provano i moderni increduli nell'ammetterla così come è annunciata nella Genesi, consistevano e consistono tutte nei termini adoperati per farla conoscere e spiegarla a quelli a cui prima dovevasi annunciare. Al postutto però la verità fondamentale, quella che premeva di inculcare era limpida e chiara; il modo adoperato ad esprimerla era tale da cima a fondo nella storia della crea zione, da non lasciar luogo ad equivoci in nessun uomo, di buona fede, per quanto idiota; nè più chiaramente potrebbe esprimersi oggi, quando vi si adoperasse tutto lo sfoggio del linguaggio scientifico, il quale non servirebbe anzi che a renderla sempre più oscura e più inaccettabile al popolo.

Ho insistito forse più del dovere sulle idee cosmogeniache di S. Efrem, perchè il lettore cominci presto a vedere, che non c'è fede, of santità, o profondità di dottrina che possa salvare l'esegeta dal falso e dall'arbitrario, finchè non si abbandoni affatto l'idea, invano coltivata da tanti secoli, che non si possa giustificare e difendere la Bibbia dagli increduli, senza] conciliare direttamente la lettera delle Scritture, intesa come lo fu dai vecchi tradizionalisti, e lo è dai concordisti moderni, coi dettati della scienza profana, sostituendo i canoni scientifici ai canoni esegetici.

5. Intanto da quel po' che s'è detto sulle discrepanze tanto decise di scuole, di metodo, di tendenze, d' idee e di positive interpretazioni del sacro testo, di cui c'informa la storia della esegesi patristica, dove si tratta, non già di dogmi e di vera dottrina cristiana, di cui i Padri della Chiesa furono depositari

fedeli e sapientissimi interpreti e maestri, ma di cose non definite, di cose opinabili e abbandonate alle umane disputazioni; da quel po' che s'è detto, ripeto, deve intanto aver inteso il lettore quanto i Padri medesimi si sentissero liberi nell' esercizio dei diritti della propria ragione, e padroni di usarne in quel miglior modo che ciascuno credeva, contro i nemici della fede. Risulta poi nel modo più evidente che tra le cose più opinabili devonsi numerare le naturali; voglio dire quei fatti d'ordine fisico, comunque citati od esposti nel sacro testo, che cadono come tali sotto il dominio della scienza della natura. Noi li vediamo usare nelle dispute di questo genere di una tale libertà che, colle nostre idee abbastanza ristrette e di fronte a certi principî proclamati da una certa scuola, non lascia di produrre qualche impressione. Tanto i santi Padri, quanto i grandi Dottori scolastici, che ai primi certamente non la cedettero nell'ossequio alle Sacre Carte e nell'amore gelosissimo della fede, punto non si peritano di interpretare molti passi in un senso affatto, diverso gli uni dagli altri, e di scostarsi dalla volgare tradizione, per quanto universale e per quanto appoggiata ad autorità rispettabilissime ma umane, tutte le volte che lo esigono l'osservazione, l'esperienza e i progressi della scienza, dei cui diritti furono sempre e in ogni caso religiosi osservatori. Dei Santi Padri come dei Dottori della Scuola si può ripetere ciò che cosi bene disse il prof. Talamo a proposito dei secondi, i quali, dice egli, non a parole soltanto, ma anche a fatti mostrarono la stima in cui ebbero le scienze fisiche e naturali; e continua :

« Quando prendono a spiegare la creazione delle nature sotto« poste all'uomo, secondochè ci vien narrato nel Genesi, li ve« diam tutti, con accuratezza e precisione, fermarsi a discutere quelle dottrine fisiche e naturali che vi hanno relazione. E quivi, per l'ordinario, a non mettere inciampo a' progredimenti « della scienza, si chiamano contenti a solo rifiutare le varie opinioni dei Fisici e Naturalisti, le quali o ripugnano aperta<< mente al senso significato nelle Sacre Scritture o sono smentite

[ocr errors]
[ocr errors]
[ocr errors]
« ก่อนหน้าดำเนินการต่อ
 »