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sente che una generazione apostatrice ha preteso, a dispetto di Cristo, di riabilitare, incensare e mitriare il popolo ucciditore di Cristo, esso popolo dagl' immeritati favori piglierà cagione di rinsaldarsi nella sua perfidia, e si accorgerà in mal punto, che le ricchezze usurarie, onde rigurgitò, e le sghembe carezze, onde inorgogli, furono per lui il pessimo dei suoi capestri.

«

Gli Evangelisti non ci hanno serbata la formola giuridica della sentenza pronunziata, dopo tanti tentennamenti, dal Preside 50; ma tutti e quattro riferiscono il fatto dell' averla egli ordinata e promulgata. Io ve ne comporrò in una sola narrazione le parole diverse dei singoli; le quali colla mesta semplicità, onde tutte spirano, debbono riuscire di una eloquenza molto espressiva, soprattutto per chi conosca, e voi già le conoscete bene, tutte le particolarità, per le quali si venne finalmente all'estremo atto di quel memorabile giudizio. Ecco pertanto le parole dei quattro Evangelisti insieme conserte : « Allora dunque Pilato, volendo soddisfare la turba, acconsentì si facesse la loro domanda; e quindi rilasciò loro il Barabba » (tòv B×рxßßãv), « che domandavano: colui, che per omicidio e sedizione era stato posto in carcere; Gesù poi già flagellato abbandonò al volere loro, perchè fosse crocefisso. » Io temerei di guastare coi miei comenti la natìa, grandiosa schiettezza di questo periodo; nel quale gli Evangelisti pare che non sentano l'immensa portata di quello che dicono, e riescono, appunto per questa via, a farlo più altamente sentire a cui lo dicono. Essi, senza avere una sillaba di compianto per la vittima, o di esecrazione pei manigoldi, raggruppano nel breve giro di poche parole le principali delle orribili circostanze, che resero di quel fatto la condanna più sfoggiatamente iniqua di quante se ne vedessero mai, o se ne vedranno sotto le stelle; e poi, senza più, fanno avviare il paziente al Calvario. Noi vel seguiremo nella prossima Lezione; ma intanto se i comenti esegetici di quel periodo sarebbero qui mal collocati, bene vi può stare al suo posto qualche pratica applicazione a noi stessi e questo faremo dopo un breve respiro.

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SECONDA PARTE

VI. Ecco dunque quale fu la mostra, che Gesù volle fare della sua regale potestà in quella ferale mattina della sua Passione. Lasciarla impunemente trascinare nel fango, come zimbello beffardo, da una ribaldaglia scostumata e feroce ! essere egli stesso pesto' da flagelli, e quindi coperto d' uno straccio di porpora, con in mano una canna, venire coronato di spine! sentire dato per motivo di sua condanna il soddisfare quella ribaldaglia stessa! vederne per effetto la preferenza data ad un micidiale sedizioso, ed il trovarsi egli abbandonato al furore dei suoi nemici per essere confitto in croce ! Così Cristo fondava il nuovo suo regno nel mondo; così creava questo nuovo Israello, che, a differenza dell' antico, avrebbe posto ogni sua gloria, non nello sfoggio della grandezza davidica, ma nelle beate sofferenze fisiche e morali della croce, ed il quale ogni suo gaudio avrebbe attinto, non dal latte e dal miele, onde fluiva la Palestina, ma dal partecipare alle ignominie gloriose ed ai santi dolori del Crocefisso. Ignominie e dolori, le quali ed i quali essendo pure. i due più fieri avversarii della povera nostra natura, secondo il suo doppio rispetto di essere morale e di fisico, divennero, nel nuovo regno di Cristo, i due più preziosi gioielli della regale corona di lui, e della vittoria, che noi riportiamo sopra di noi e sopra del mondo con lui e per lui. Quinci ebbe origine quella sterminata falange di Martiri e di Penitenti anche innocentissimi, i quali erano nobilmente orgogliosi degli obbrobrii portati per Cristo, quanto nessun superbo mondano fu delle sue glorie terrene, ed aspiravano al patire per lui con un ardore, che nessun gaudente della terra spiegò mai pei godimenti. Capisco che quella perfezione non può essere di tutti; ma bene di quanti si onorano del nome cristiano dovrebb' essere il chiaro. concetto intorno alla suprema vanità dei beni della terra, ed intorno al merito, che essi hanno di essere da noi, non idolatrati, ma altamente disprezzati. Di qui sommo nostro danno, e somma nostra vergogna sarebbe se, pensandone come gli altri, ne fossimo assetati non meno degli altri; e peggio ancora se

c'immaginassimo, che il discepolato ed il servigio di Cristo dovesse assicurarci di quei beni medesimi una qualsiasi parte.

Che debbo tuttavia dirvi, miei riveriti Ascoltatori! Sia pei caratteri debilitati e per gli ammolliti costumi, sia per la scaduta fede, sia per quest'atmosfera naturalistica che ci ammorba, il fatto è, che noi oggimai appena conosciamo quegli eroismi cristiani altronde che dai libri; ma nel resto, lasciata e non sempre ai maschi principii evangelici la loro verità speculativa, quanto alla pratica, noi in sustanza teniamo, nulla esservi di più nobile in questo mondo, che il sovrastare; nulla di più desiderabile, che il godere. Per tal modo, verso i privilegiati della fortuna, è sottentrata nei minori e nei menomi l' invidia impotente al compatimento cristiano, che i minori ed i mepomi ne dovrebbero nudrire; ed intanto i privilegiati della fortuna hanno smesso, e talora neppure conoscono quel condimento cristiano, lasciatemi dir così, che dovrebbero recare alla propria condizione colla verecondia delle preminenze, e col pudore dell'opulenza. Ora finchè siamo così disposti, noi apparterremo bensì al regno esteriore di Cristo, che è la Chiesa, perchè vi entrammo inconsapevoli col santo Battesimo, e la Dio mercè non ne siamo ancora usciti con una esplicita apostasia; ma all'interiore, allo spirituale, che è il vero suo regno da trasformarsi nel celeste, noi non apparterremo giammai.

NOTE

alla Lezione centesimaseconda.

1 Matth. VI, 33.

2 Iob. I, 9.

3 AUGUSTINUS, In Ioan. Tract. CXVI.

limite. Dionigi Alicarn. IX; A. Gell. Noct. Att. X, 3.

11 Psal. XXXIV, 15; XXXVII, 18;

Sic implebantur quae de se praedixerat LXXII, 14.

Christus;.... sic regnum, quod de hoc 12 Matth. XX, 19; Mar. X, 34; Luc. mundo non erat, superbum mundum non XVIII, 32, 33. atrocitate pugnandi, sed patiendi humilitate vincebat.

13 L'Alapide (Comm. in Matth. XXVII, 26), come quasi sempre suole in siffatte

AMBROSIUS, Comm. in Lucam, Lib. applicazioni morali, è molto minuto e co

X. cap. 18.

pioso nel trattare questa parte della Passione, facendo espresso ricordo delle Rive

5 Id. 1. c. HEYNE, Opusc. Acad. Vol. III, n. 11. lazioni di S. Brigida. Ciò non entrava nel 7 Nel disporre così questi testi ho semio disegno; l'ho voluto tuttavia notare, guitato, secondo il mio solito, l'ordine perchè il lettore che lo desideri sappia tenuto nella sua Concordanza dal Patrizi, dove può trovare largo pascolo alla sua il quale dimostra con ragioni solidissime pietà. la necessità di questo spostamento. De Evangel. Lib. II. Adn. CXCI.

1 HIERONYMUS, In Matth. Lib. IV. Veramente al modo, onde ne parla altrove 8 Luc. XXIII, 16; 22. (In Epitaph. S. Paulae) il santo Dottore, Lo afferma espressamente Giuseppe quella colonna sembra essere stata assai Flav. (De Bello Iud. Lib. II, c. 14) del più alta di quella, che ora vedesi in Preside Cestio Floro, il quale faceva fla- S. Prassede. Di quì il Bosio (Lib. De gellare, e poscia crocefiggere anche di Cruce) pensò che questa fosse una parte quelli, che appartenevano all' ordine dei della colonna, a cui fu il Signore legato: cavalieri, agli equites. e la cosa può essere; quantunque non

10 CICERO, in Verrem, V, 54. La esen- manchi chi ne abbia giudicato diversazione poi dei cives dalla pena delle verghe mente.

si legge Digest. X, 4; VIII De poenis, 19, 15 Per non isminuzzare troppo i testi, 10; si trovava pure nella legge Porcia li ho lasciati come li espongo nella LeSempronia. Di questa esenzione si valse zione; ma è manifesto, che la flagellazione S. Paolo (Act. XXII, 26-28), che come deve collocarsi dopo questo aver preso i cittadino romano fu sotratto alle verghe. soldati il Signore e menatolo nel Pretorio, È pure da notare che la legge poneva un come ha Matteo, o, come più chiaramente limite agli Ebrei nell'applicare quella pena si legge in Marco, nell'atrio del Pretorio. (Deut. XXV, 3); e la consuetudine portava Ma non facendo qui quei due Evangelisti non si applicassero più di 39 colpi (II, alcuna menzione dei flagelli (la fanno Cor. XI, 24); ma pei Romani non vi era come di cosa già seguíta, il primo nel v.

26, il secondo nel 15), io ho creduto meglio attenermi all'ordine di S. Giovanni. 16 AMBROSIUS, 1. s. cit.

17

determina il paragone al solo Giuda; l'articolo col participio si può rendere molto bene per chi, nel qual modo abbraccia

ATHANASIUS, Sermo de Cruce et tutti anche Giuda. Passione, circa med.

27 Il Rosenmüller (Schol. in Ioan. XIX, 18 Gli antichi pensarono, che fosse il 11) reca gl' Interpreti, che riferiscono il iuncus marinus, il Gretzer (De Cruce, desuper a Cesare, e, cosa davvero strana, Lib. I, 11) giudicò che fosse il rhamnus; ne cita perfino qualcuno, che l'intende ma il Sieber (Viaggi, pag. 143-145) dal- della Sinagoga. Ma a me pare questione l'essere quelle due piante molto rigide nei affatto vana: siavi o no inteso l'immediato loro rami, tenne che fosse il lycium spi- collatore di quella potestà, restava sempre nosum, molto flessibile e facile ad essere vero, che essa nel suo principio veniva intrecciato; non credo tuttavia, e della stessa da Dio: e questo volle Gesù significare opinione è il Calmet (Com. Litt. in Ioan. col desuper.

XIX, 2), che intorno a ciò si possa af- 28 IANSENIUS, Comm. in Conc. Evang. fermare nulla di sicuro. Vedi Friedlieb, Cap. CXLII.

Archeol. della Passione, Cap. XV, § 3; 29 SPARTIANUS, Hadr. cap. XVIII; Sve-
come pure il Bartolini, Hypomn. 3, De tonius in Calig. cap. XIX; in Neron. cap.
Corona Christi spinea.
V; in Galb. cap. VII. Vedi pure Ernesti,

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19 Quelle erano le ceremonie, onde Exercit. XV ad Sveton. presso gli antichi si ossequiavano i re Appena si moveva accusa ad alcuno, nuovi, o nuovamente venuti nelle città imperante Tiberio, la quale non fosse conquistate (Marziale, Epigr. XIV, 71; condita col delitto di maestà. Crimen Macrobio, Saturn. II, 4). maiestatis omnium accusationum compleEcco le parole di Agostino (Tract. mentum erat, scrive Tacito. Annal. Lib. CXVI in Ioan.): Hoc Pilatus non ob III, 38. aliud fecisse credendus est, nisi ut eius iniuriis ludaei satiati, sufficere sibi existi

31 SVETONIUS, in Tiber. cap. XVI. 32 IOSEPH FLAV. Antiq. Iud. Lib. XVIII, marent, et usque ad eius mortem saevire cap. 3, et De Bello Iud. Lib. II, cap. 9. desisterent. 33 A confermare la spiegazione data

21 CHRYSOSTOMUS, Orat. de Eleemos. et del Parasceve Paschae, non voglio ometIn Ioan. Homil. LXXXIV, al. LXXXIII. tere di notare, come nel greco la prima Lo afferma ancora Lattanzio, Divin. Instit. voce non avendo articolo, resta rimossa Lib. IV, cap. 8. ogni idea, che quella potess' essere una

22 THEOPHYLACTUS, Enarratio in Ioan. Parasceve determinata e propria della XIX, 6. Pasqua. Nel vulgare nostro, che ha gli

23 Levit. XXIV, 16; e rendeasi ezian- articoli come il greco, quella frase si dodio reo di delitto capitale chi fingesse di vrebbe rendere, non già era la Paraessere profeta. Deut. XVIII, 20. sceve, ma era una Parasceve della Pa

24 Ex. gr. Psal. XXVIII, 6; LXXXVII, squa; e vorrebbe dire una Parasceve 7; Sap. V, 5; Eccli. IV, 11, etc.

28 AUGUSTINUS, loc. sup. cit.

come le altre, che cadono lungo l'anno, ma che quell'anno cadde nel giorno di Pasqua.

3 Mar. XV, 25.

35 Matth. XXVII, 45.
35 Luca XXIII, 44, 45.

26 Il qui me tradidit tibi del latino, come detto in genere, si potrebbe riferire a quanti contribuirono a consegnare Gesù alla potestà romana; ed essendo così inteso comunemente, anche di essi il maius peccatum habet è verissimo. Nè il greco, dagli eruditi, ricorderò quella, che fu del citato nella Lezione, coll'articolo definitivo, Clerico e del Michaelis, e venne di nuovo

37 Tra le varie maniere, escogitate

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